
Arrivati alla fine della Multiverse Saga i Marvel Studios dovranno fermarsi un momento, guardarsi indietro e prendersi il tempo che gli servirà per capire come andare avanti. Soprattutto dovranno ricordarsi come hanno lavorato fino al 2019, partendo dal primo Ironman nel 2008 fino ad arrivare ad Avengers Endgame, e riflettere su cosa ha reso questo universo narrativo così di successo.
Le responsabilità di Quantumania
Ant-man and the Wasp: Quantumania inaugura l’inizio della quinta fase del Marvel Cinematic Universe e, cosa ancor più importante, inaugura sul grande schermo la saga che ci accompagnerà fino al 2026, introducendone la minaccia e piantando i semi che dovranno essere raccolti di progetto in progetto.
È già singolare che tutte queste responsabilità vengano affidate ad un film su Ant-man, uno dei personaggi di minor richiamo di questo universo e soprattutto tra i più autonomi e, alla luce del risultato finale, una decisione simile sembra ancora più inopportuna. Non perché non ci si potesse prestare il personaggio, ma perché delle ambizioni così importanti non appartenevano ai primi due film del franchise, tanto che il cambio di rotta, abbastanza brusco, non passa inosservato.
Se le pellicole precedenti erano votate al semplice intrattenimento, proponendosi come dei momenti di pausa dalla trama generale dell’universo narrativo, Quantumania rimane in un limbo, incastrato tra due esigente opposte per quanto complementari, senza riuscire a soddisfarne nessuna: non è particolarmente gradevole come film di semplice intrattenimento, né è adeguato come “film evento”.
È chiaro che gli è stata imposta una responsabilità cui non si sarebbe prestato altrimenti e un’avventura di questa portata, soprattutto in prospettiva delle trame in divenire, non è in alcun modo da considerarsi la naturale evoluzione dei due film precedenti del personaggio. Non è molto distante in tal senso da Spider-man No Way Home: il terzo capitolo di una trilogia con la quale tematicamente non ha molto a che fare e nel quale, quindi, non sussiste più la specificità del suo protagonista.

Un universo narrativo senza più protagonisti
La posta in palio viene caricata oltre misura, senza consequenzialità nella costruzione narrativa del mondo dell’eroe di turno di film in film, portando i personaggi fuori dalla propria dimensione senza criterio, perché l’unica linea editoriale dei Marvel Studios dopo il dittico Infinity War – Endgame sembra consistere unicamente nel riproporre continuamente un grande evento, in modo da garantirsi la curiosità del pubblico. Perché forse non è più data per scontata.
L’accoglienza delle pellicole della Fase 4 non fanno che darne conferma, non tanto in merito al riscontro economico, ma per quanto riguarda la ricezione media del grande pubblico: è evidente un maggiore distacco, quasi disinteresse. Partecipazione passiva potremmo definirla: i film Marvel continuano ad essere visti perché sono film Marvel ma non offrono più stimoli o, per lo meno, non più quelli giusti.
Più che far presa sui fan e rilanciare rispetto alla Saga dell’Infinito, il multiverso sembra esser stato il proverbiale passo più lungo della gamba, un elemento troppo specifico per il grande pubblico e al contempo troppo vago e indefinito, mai spiegato in maniera chiara e adeguata, tanto che, piuttosto che porre delle regole narrative per la gestione di questo elemento, lo si è giocato puntando sulla nostalgia.
Tornano personaggi o volti di altri franchise e il protagonista non è mai solo, ne è circondato e soccombe, perché alla fine non è più neanche il motivo di interesse del film a lui dedicato. In Spider-man No Way Home non era importante il percorso di Tom Holland, ma il ritorno di Tobey Maguire e di Andrew Garfield, in Doctor Strange nel multiverso della follia Patrick Stewart o Robert Krazinscky. I protagonisti non sono più protagonisti e mancano dei personaggi che possano affermarsi come nuovi punti di riferimento, come degni eredi di quelli ormai andati, in grado di conquistarsi l’affetto delle masse: più importanti e interessanti di loro sono i cammeo e le scene dopo i titoli di coda. Ed è la Marvel stessa a metterla in questi termini nella campagna promozionale.

Un “piccolo” passo falso per Antman
Di Antman and the Wasp: Quantumania non c’è molto da dire e parlare delle premesse improponibili, dei dialoghi irricevibili e delle gravi inadeguatezze tecniche sarebbe poco interessante: un film che sembra un collante di più film, montati frettolosamente selezionando le parti giuste da ciascuno. La sceneggiatura viene percepita di conseguenza e le diverse scene sembrano non disporre in primo luogo dei dovuti raccordi di montaggio.
L’immaginario fantascientifico proposto nel Regno Quantico è il pallido riflesso di quanti più immaginari possibili, da Star Wars a Strange World, finendo per essere semplicemente molto generico e incolore, visto soprattutto che manca il benché minimo tentativo di world-building: quando i personaggi ammettono di non avere i mezzi per conoscere questi mondi fanno le veci degli sceneggiatori e non è dato sapere alcunché di questa dimensione, se non che è strana. Sembra semplicemente voler seguire a tutti i costi i Guardiani della Galassia di Gunn o i Thor di Waititi, eludendo però completamente la costruzione di un simile immaginario, finendo solo per abbandonarsi ad un’ormai generalizzata deriva camp, disinteressata ad ogni pretesa di plausibilità e di organicità con il resto dell’universo narrativo.

Un grande passo falso per la Marvel
Antman and the Wasp: Quantumania è un brutto film e in quanto tale sarebbe trascurabile. L’universo Marvel non è nuovo a passi falsi ed errori di percorso, ma non sono mai stati la norma: non ha mai vissuto un periodo come gli ultimi due anni, durante i quali i film più riusciti sono comunque quantomeno discutibili.
Soprattutto, nel caso di Quantumania entra in gioco il proverbiale peso specifico: tutti i problemi di cui soffre vanno messi in prospettiva del presente e del futuro del Marvel Cinematic Universe e, sotto questa luce, quest’ultima fatica dei Marvel Studios diventa da una parte paradigmatica di tutto ciò che non ha funzionato negli ultimi due anni e, dall’altra, motivo di preoccupazione per quelli a seguire. Questo doveva essere il momento delle conferme, ma continuano ad essere rimandate: il terzo capitolo del franchise di Antman sconta l’imposizione di ambizioni cui non si sarebbe prestato e, alla fine dei conti, non fa che dare conferma di questa inadeguatezza reciproca di fondo.
Probabilmente siamo troppo avanti per aspettarci un cambio di rotta significativo. Non significa che la Marvel non possa raddrizzare il tiro con i prossimi film, ma gli ultimi anni peseranno non poco sulla percezione complessiva di questa saga. Ad ora, ci ritroviamo di fronte ad un universo senza una direzione chiara e senza protagonisti che riescano ad affermarsi come protagonisti. Manca una linea editoriale forte e il Marvel Cinematic Universe si sta fregando al suo stesso gioco, quel gioco che proprio Kevin Feige ha inventato e di cui ha posto le regole.
Scrivo a vanvera di film che non capisco.