Strappare lungo i bordi è arrivata su Netflix da tre giorni e già anima il dibattito come poche altre opere italiane hanno saputo fare negli ultimi tempi. Parlo di opere perché la serie è un prodotto completo, scritto bene, fluido, emozionante e nuovo. È proprio una bella roba.
Il fumettista Michele Rech, conosciuto come Zerocalcare è l’artefice della miniserie Netflix; 6 episodi da circa 20 minuti l’uno; si guarda in fretta, ma rimane davanti ai nostri occhi per molto più tempo. Strappare lungo i bordi ci rimane nella memoria interna; non importa se amiamo il lavoro di Zerocalcare dal 2006 o lo abbiamo conosciuto con Rebibbia quarantine. Va bene anche se abbiamo premuto play per sbaglio e avremmo voluto continuare a vederci quel filmato iniziato la sera prima.
Ci rimane in testa e ci parla, come una coscienza o un amico di una vita.
La storia non è né semplice né complessa, è una storia onesta, divertente e drammatica.
Zero, Sara e Secco crescono insieme a Rebibbia, si conoscono sui banchi di scuola e lì compiono le prime esperienze significative; la pressione, il fallimento, il riconoscimento del valore superiore della collettività, la libertà individuale. Poi Zero conosce Alice, ma non arriva mai all’amore.

I protagonisti fronteggiano le difficoltà del quotidiano, ognuno a modo proprio ma ritrovandosi poi alla solita panchina, per offrirsi l’un l’altro sostegno, mangiarsi il gelato.
Noi seguiamo i flussi di coscienza di Zero, che insieme all’armadillo, il suo doppio, la voce interiore, doppiato da Valerio Mastandrea (tutti gli altri hanno la voce di Zerocalcare), ci racconta della sua adolescenza e dell’ingresso nell’età adulta, la difficoltà di trovare un proprio posto nel mondo. Anche una buona dose di desiderio di mettersi il cuore in pace, capire di aver fatto qualcosa di giusto.
L’occasione del racconto è quella del viaggio; i tre amici prendono il treno per andare a Biella dove li aspetta una giornata a dir poco faticosa che avrebbero voluto risparmiarsi volentieri.

Ma si sa, questo se effettivamente i nostri alter ego si lasciassero strappare lungo i bordi.
La metafora contenuta nel titolo fa da collante a tutta la serie, rendendo manifesta la difficoltà dei protagonisti di ritagliarsi un avvenire, definito o quanto meno, desiderato. Il mondo del lavoro è insidioso e Zero non ci dice né che dobbiamo accettarlo così né che dobbiamo per forza combatterlo; il nostro scopo è sopravvivere, cercare di amare ed essere amati all’interno del grande organismo collettivo. Avere dei veri amici, assumersi le proprie responsabilità e non da ultimo, lasciare qualcosa agli altri, una piccola speranza.
Ci si emoziona molte volte guardando questa serie, si torna indietro con il cursore per risentire questo o quel pezzo.
I disegni, la colonna sonora, la scrittura, tutto concorre alla creazione di un manifesto poetico mica da poco.
Un consiglio: guardarla tutta di seguito (o dividere in due), per rimanere nel flusso.
E ascoltatevi i Fauve.
Altre chicche;
- lo sfondo del telefono appartiene a @gliscarabocchidimaicolmirco
- nell’ultima puntata compare Michele Foschini, il direttore editoriale di Bao Publishing (e fondatore della stessa), da sempre sostenitore di Zerocalcare, che pubblica dal 2011.
23 anni, studio Italianistica. Ho visto Mean Girls 27 volte.