Black Panther: Wakanda Forever e come superare il dolore

Black Panther: Wakanda Forever ha alle sue spalle una storia travagliata. Annunciato nel 2019, in quello che possiamo definire come l’apice del successo dei Marvel Studios, ha subito diversi rinvii a causa del covid e, nell’anno successivo, ha perso la propria stella. Nell’agosto 2020 scompare infatti Chadwick Boseman a soli 43 anni, in seguito ad una lunga malattia, tenuta nascosta a tutti, famiglia esclusa. Tutto ciò accade meno di due mesi prima dell’inizio delle riprese. Gli Studios decidono di non sostituire l’attore e di ricostruire un film non ancora nato. Ryan Coogler, regista e co-sceneggiatore, cancella quasi interamente la trama e ne riscrive una nuova in tempi record. Il risultato avrebbe potuto far storcere il naso a molti, eppure a più di due anni di distanza, nel novembre 2022, abbiamo di fronte un sequel ottimo di un buonissimo film. Questa è la recensione di Black Panther: Wakanda Forever.

Il dolore è la chiave

Il motore dell’intera vicenda è il dolore. A partire da quello per la perdita di Boseman sia nella vita reale sia sul grande schermo, in una scena iniziale che ci riporta subito alla realtà. Seguono i titoli di testa dei Marvel Studios, customizzati ad hoc per l’occasione, così come accadde per Stan Lee in Captain Marvel. La storia è poi segnata dalle conseguenze di questo fatto, soprattutto nelle reazioni dei protagonisti. Il Wakanda non appare più come la vibrante nazione del primo film: la guerra civile, lo scontro con Thanos e la morte del re hanno cambiato le emozioni verso questa terra. La protagonista è ora Shuri, e con lei dobbiamo superare il trauma e il dolore, imparare a combatterlo e ad farlo nostro nonostante le difficoltà. L’arco narrativo della protagonista è indicativo di quanto la morte di Boseman e della sua controparte cinematografica abbiano significato per gli attori e noi spettatori.

Talokan e il Wakanda

Il dolore ci spinge anche al di fuori dl Wakanda. Sì, perché nonostante il tono profondamente serio della pellicola, Black Panther: Wakanda Forever resta un film Marvel e da tale, serve un nemico da combattere. Il nemico in questione è Namor, che proviene dallo splendido regno sottomarino di Talokan. Anche la sua storia, che ci viene raccontata con vividi dettagli e immagini spettacolari, è colma anch’essa di dolore e vendetta, che riemergono col contatto col mondo in superficie. I due regni presentano molte similitudini, come la reclusione al resto del mondo e la grande storia che li circonda. La principale differenza è la natura del luogo, contraddistinta dal legame col Vibranio: da una parte, a Talokan, troviamo la magia e il sovrannaturale, con Namor identificato non a caso come un dio; dall’altra, in Wakanda, la tecnologia la fa da padrone e Shuri ne è la figlia legittima.

Un film diverso

Black Panther: Wakanda Forever resta un film Marvel, ma presenta caratteristiche uniche. Ho accennato al tono molto più serio della norma (soprattutto se paragonato a film come Thor: Love and Thunder), ma c’è molto di più. L’azione non la fa da padrona sul minutaggio (importante) del film: essa è relegabile a poche ma efficaci scene, che strizzano l’occhio al prequel nella realizzazione (la scena di inseguimento richiama fortemente quella in Corea del film del 2018). Rubano l’occhio invece le performance del cast, a partire da una Angela Bassett in stato di grazia, che sfrutta al meglio le emozioni che il suo personaggio vive all’interno del film e le mostra al pubblico con una forza unica. Non passa inosservata neanche Danai Gurira, la cui Okoye si stacca leggermente dalla figura austera che avevamo conosciuto finora. Anche la debuttante Dominique Thorne fa il suo, portando una freschezza perfetta per il suo personaggio.

Conclusioni

Il film, a primo acchito, fatica ad essere identificato all’interno del Marvel Cinematic Universe. Se non fosse per alcuni volti noti che popolano le sottotrame e lo scontro col villain, Wakanda Forever potrebbe essere benissimo un film a se stante, con tutti i meriti e demeriti del caso. Ryan Coogler, dopo aver mostrato i muscoli in Black Panther, alza l’asticella e ci porta anche le emozioni in questo ben riuscito sequel. Wakanda Forever non vuole essere un fenomeno di costume come il suo prequel, ma vuole elevare il contenuto della saga, che non si distaccava da molti canoni classici. Non si tratta più di rappresentare, ma di creare un mondo coerente e ben riuscito, che ora è riuscito anche ad allargare gli orizzonti. Il franchise di Black Panther sarà eternamente legato al nome di Ryan Coogler e all’estetica che gli ha donato, di cui fa parte anche una musica ancora una volta perfetta per l’occasione. Non penso che Wakanda Forever riuscirà a conquistare 3 Oscar come il precedente, ma sicuramente rappresenta una ventata d’aria fresca e una più che soddisfacente conclusione alla Fase 4 dell’MCU. Speriamo che la Fase 5 abbia preso nota.

Voto: 8,5/10

P.S.: se appena usciti dalla sala state cantando in loop Lift me Up di Rihanna tranquilli, non siete i soli.

Cosa ne pensate della nostra recensione di Black Panther: Wakanda Forever? Fatecelo sapere nei commenti e continuate a seguirci!

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