
“Branca branca branca. Leon leon leon”. Quante volte avete sentito questo motivetto? Scommetto tante, perché tutti in Italia conoscono L’armata Brancaleone. Mario Monicelli, autore dell’opera, ha dato vita a un simbolo della nostra cultura cinematografica e popolare, andando ad analizzare il profondo senso della comicità. Proprio nel protagonista allora, il bizzarro Brancaleone da Norcia, c’è l’essenza di un film che ha insegnato intere generazioni a ridere delle disgrazie. In che modo un buffo cavaliere può insegnare a vivere? L’obiettivo dell’articolo è scoprirlo.
QUALCHE ANNO PRIMA…

Qualche anno prima dell’uscita de L’armata Brancaleone, Mario Monicelli scrisse, insieme ad Agenore Incrocci, Furio Scarpelli e Suso Cecchi D’Amico, una sceneggiatura alquanto irriverente per i tempi che correvano. La storia parlava di un gruppo di scalmanati che tentano di fare una rapina e la regia del film era affidata allo stesso Monicelli. La pellicola che ne uscì prese il nome de I soliti ignoti, e da quel momento il cinema italiano non fu più lo stesso. Caso volle che, nel 1966, per girare l’armata Brancaleone il regista chiamò buona parte della troupe che lo aiutò a fare la storia. Contattò Scarpelli e Incrocci per scrivere la sceneggiatura, e scelse, come protagonista del suo nuovo lungometraggio, uno dei migliori attori dell’epoca, nonché protagonista de I soliti ignoti: Vittorio Gassman.
L’ossatura dell’opera doveva essere la stessa, perché il gruppo di strampalati è una componente importante per il cinema monicelliano. Per non riprodurre, tuttavia, la brutta copia di un capolavoro, la troupe doveva cambiare una componente fondamentale, in modo da ricercare altre fonti di comicità e riflessione. La scelta di ambientare il nuovo film nel Medioevo ha permesso a quest’opera di essere unica e, di conseguenza, di sopravvivere alla prova del tempo.
IL CONTESTO STORICO

L’armata Brancaleone è ambientato nel Medioevo, precisamente nell’XI secolo. La storia, bene o male, la conoscono tutti: Brancaleone e i suoi compagni viaggiano verso un feudo, per tentare di insediarsi abusivamente attraverso un documento rubato. Perché la scelta del Medioevo? Beh, si può intuire che il regista romano avesse uno spiccato interesse per questo periodo storico. Forse era affascinato dalle guerre religiose? Magari era innamorato delle figure cavalleresche? Nulla di tutto questo. Per Monicelli, non c’è nulla di affascinante nel Medioevo, se non la percezione che le persone ne hanno. I motivi? Perché, come la commedia, genere di padronanza del regista, anche i racconti cavallereschi puntano a mascherare la realtà. Il senso della risata è la sdrammatizzazione, lo strumento terapeutico più forte che ci sia. Così, la scelta del genere comico rappresenta per lo spettatore una duplice occasione: da una parte può avere una visione del medioevo senza i filtri “puliti” dei racconti cavallereschi, dall’altra può imparare a ridere delle disgrazie. Si, perché i brancaleoniani non sono altro che sconfitti, reietti della società pronti a partire per una missione già persa in partenza. I racconti medievali ci hanno insegnato il senso del valore, del rispetto e dell’onore? Monicelli mette in scena una storia immorale, eppure dannatamente divertente.
PERDERE NON È POI COSÌ MALE

Diciamocelo chiaramente, Hollywood ci ha insegnato a tendere al meglio. Buona parte della produzione americana ha tramandato l’importanza di migliorare la propria condizione. Davvero, il miglioramento è superiore all’accettazione? La mediocrità ha veramente quel senso malinconico tramandatoci dai media? La realtà è che spesso l’eccellenza diventa sinonimo di esclusione. La chiave è allora imparare ad accettarsi e a ridere di una sorte spesso beffarda. Tutti hanno qualcosa da raccontare e ognuno ha un senso in questo mondo. Per Monicelli, la diversità è un pozzo inesauribile di bellezza e ispirazione. La personalità diventa allora sinonimo di ricchezza, quasi fosse una fonte inesauribile di imprevedibilità. Non che i personaggi dell’armata Brancaleone siano carismatici, ma proprio l’assenza di carisma rende gli stessi ricchi di significato. Il vecchio Abaduc, lo strambo Teofilatto, ma anche lo stesso Brancaleone, diventano l’emblema di una speranza insita negli autori, perché, in fondo, nessuno a questo mondo è davvero inutile. Così, la stessa comicità diventa per lo spettatore un’occasione per riflettere sul senso della risata, su quel misterioso istante in cui il mondo e i suoi problemi sembrano fermarsi. Questa è L’armata Brancaleone, un film che attraverso la profondità è riuscito catturare l’essenza della leggerezza