
Il primo romanzo della saga di Dune, capostipite della letteratura fantascientifica insieme ai racconti di Asimov, è un’opera complessa, tanto che ai tempi della sua pubblicazione, nel ‘65, fu indicato come uno di quei romanzi intraducibili in forma cinematografica: il mondo costruito da Herbert è maestoso, e la narrazione stessa è costituita in una parte sostanziosa dai monologhi di una notevole quantità di personaggi.
Le difficoltà di un’eventuale trasposizione sono evidenti, e infatti, se a Jodorowsky non è stato possibile realizzare la propria versione (si dice fossero previste sulle 7 ore di durata, tra l’altro con la presenza nel cast di Salvador Dalì e Orson Welles, oltre alla partecipazione di Moebius per gli storyboard, assieme al quale, tra il 1981 e il 1988, il regista cileno concretizzò il proprio progetto con la celebre graphic novel L’Incal), David Lynch ha partorito una bestia strana, sicuramente il suo film meno riuscito: la prima parte del Dune dell’84 è se non altro affascinante, oltre all’estetica, per l’approccio anarchico di Lynch all’opera di riferimento e un’importante contaminazione grottesca (è esemplare in tal senso la scena in cui veniva introdotto il Barone Arkonnen), ma dal momento dell’incontro tra Paul Atreides e i Fremen, il film inizia a mostrare il fianco, a causa della pretesa di condensare un materiale così massiccio in appena due ore e venti, concretizzatasi in passaggi contorti e lacunosi, aggravati dai prevedibili tagli di produzione.
E dopo un ultimo tentativo con la serie del 2000, arriva Villeneuve, alla settantottesima edizione del festival del cinema di Venezia. In altre parole, l’epopea di Dune, fino al 2021, si è accompagnata all’audiovisivo per lo più nella difficoltà nel trovare un adattamento degno.
Il regista canadese è ormai al suo terzo approccio alla fantascienza, dopo Arrival e Blade Runner 2049, e, in particolare rispetto a quest’ultimo, sono riconoscibili dei segnali di stile, su tutti la solennità della narrazione e la monumentalità delle immagini e della colonna sonora. È quindi quanto più importante in questo caso, considerati questi aspetti, segnalare l’importanza di vedere il film in sala: forte di un’estetica maestosa sostenuta dal perfetto accompagnamento musicale ad opera di Zimmer, Dune è una grande esperienza cinematografica, si potrebbe definire l’evento della sala dell’anno, come lo fu Tenet nel 2020. Proprio in virtù di questo merito, sorgono paradossalmente delle perplessità, o degli interrogativi: sarà interessante nei prossimi mesi osservare se quest’opera sopravvivrà al test del tempo, o meglio, al passaggio dal grande al piccolo schermo, e infine decretare se si tratti di un film così maestoso o se sia stata per lo più una grande esperienza.
Quanto conseguito al termine delle due ore e mezza di durata del film è fondamentalmente la costruzione dell’universo di Herbert, definendo con calma e in maniera chiara i ruoli, sacrificando e riducendo alcuni concetti ma restituendo comunque il fascino di questa lunga fase introduttiva. Quella di Villeneuve è una fantascienza atavica e crepuscolare, in cui la vita si muove incerta nelle sale asettiche di antichi palazzi reali e deserti simili ad oceani, ambienti vuoti che ospitano le memorie di un passato decaduto.

Quest’ultimo adattamento, pur essendo il primo capitolo di una storia ben più ampia (non copre la narrazione del romanzo nella sua interezza, trattando piuttosto fino alla metà della seconda parte), risulta indubbiamente come il miglior adattamento fino ad ora realizzato sul classico di Herbert, inserendosi con un’identità forte tra i film di fantascienza più suggestivi degli ultimi anni. Più di tutto, però, è un grande tributo alla sala, e segna in maniera incisiva il ritorno del cinema nella nostra quotidianità.
Dall’altro lato, ammessi alcune approssimazioni di sceneggiatura, come la totale assenza scenica dell’Imperium, qui solo menzionato, o l’essenzialità della caratterizzazione di alcuni personaggi, è da considerare l’indubbia problematicità di riproporre Dune al cinema nel 2021: il romanzo di Herbert è stato tremendamente seminale per molte opere che, dal ‘65 fino ancora ad oggi, ne richiamano la trama o anche solo alcune suggestioni (l’esempio più lampante è Star Wars), e approcciarsi nuovamente a Dune dopo decenni di suoi derivati, alcuni dei quali inseritisi con successo nella cultura popolare, rischia di restituire l’idea di una storia già vista tante volte, o che ormai non è più interessante.
In più, proprio perché si tratta di una lunga introduzione, per quanto si costruisca su molti pregi ed alcune eccellenze, risulta difficile inquadrare bene il progetto appena avviato: si tratta di un’operazione delicata, specialmente nella prospettiva degli eventuali futuri capitoli che, possibilmente, andranno ad aprire una nuova saga cinematografica (laddove ha da poco trovato un punto fermo quella di Star Wars, figlio illegittimo di Dune), qualora le intenzioni della produzione si estendano agli altri cinque libri dell’epopea di Frank Herbert. Tutto dipende dalla percezione generale che ne avrà il pubblico e dalla sua accoglienza nel giro di queste settimane.
Scrivo a vanvera di film che non capisco.