First Cow: da Peter Hutton al racconto di frontiera

First Cow si apre e si chiude con una dedica a Peter Hutton: nel caso della chiusura è semplicemente una didascalia che introduce i titoli di coda, mentre per quanto riguarda l’apertura, si tratta della prima immagine del film, ovvero una nave cargo che attraversa un fiume.

Il riferimento è alla lunga esperienza di Hutton nella marina mercantile, di cui ha sentito  l’influenza una parte consistente della sua filmografia, rappresentata per lo più da documentari sperimentali e deputati al ritratto di paesaggi.

Nello specifico, viene rimandata la memoria a At sea, il più lungo dei suoi lavori sia nel minutaggio (59 minuti) che nella realizzazione (tre anni): ironicamente, uno dei temi della pellicola è proprio il tempo, visto e considerato che Hutton si rende testimone del ciclo vitale di un cargo container, nave impiegata nei trasporti intermodali attraverso i mari e gli oceani di tutto il mondo.

 Nel momento della costruzione della nave, resa possibile dallo sforzo congiunto di innumerevoli e minuscoli uomini, si respira dell’epica, intesa come vicenda fondata sulle gesta di molti. La maestosità del cantiere viene poi soppiantata dall’estensione dell’orizzonte, passando dall’epopea al lirismo, fino alla tragedia della parte finale, nel cimitero delle navi del Bangladesh: una discarica di memorie arrugginite in cui le navi vengono abbandonate come dei cadaveri prossimi alla decomposizione, per poi essere lentamente smantellate e smembrate per mano di tanti piccoli uomini, non diversi da quelli che erano stati impiegati nella loro costruzione. Mentre Hutton si affranca dall’ideale verista cui doveva attenersi il documentario secondo George Grierson, viene raccontato il ciclo di creazione e distruzione proprio del capitalismo, oltre all’inevitabile scorrere del tempo, sia che si parli di ciclo vitale che di dimensione storica.

L’ultimo lavoro di Kelly Reichardt prosegue sulla riflessione elaborata da Hutton, adottando come oggetto della narrazione la vicenda di Cookie e King-Lu, due uomini solitari in cerca di fortuna nell’entroterra dell’Oregon. Incontratisi per caso, scoprono l’uno nell’altro un’affinità di spirito e si concedono di immaginare un futuro migliore da costruire insieme, partendo dalla produzione di dolci al latte. È un punto di partenza ben più modesto delle loro reali mire, ma anche inaspettatamente rischioso: il latte è il vero capitale della vicenda, dato che proviene dalla prima nonché unica mucca importata in quelle terre, proprietà di un ricco mercante.

La scalata dei due amici deve partire dall’inganno, con il costante timore del ricco, sempre legittimato nell’esercizio del proprio potere. La vera minaccia di questo racconto di frontiera non è quindi rappresentata dalla violenza o dalle armi, bensì dall’incontro tra il povero e chi detiene il capitale.

Similmente alla prima parte di At sea, si possono riconoscere dei tratti comuni al racconto epico mentre sembra di assistere alla nascita di un colosso, ormai noto sotto il nome di capitalismo, sulla base delle azioni di altri piccoli uomini. Eppure, sempre come nell’opera di Peter Hutton, il tutto decade nel momento in cui viene svelata l’altra faccia della medaglia, ossia l’altro capitale della storia, diverso da quello grezzo rappresentato dal latte e stavolta detenuto dai due protagonisti: si intende il rapporto umano, un elemento che va in contrasto con il cinismo che ci si aspetterebbe da un racconto sulla genesi americana, sostituito in questo caso dalla compassione nel raccontare le vicende di due personaggi puri e semplici che si muovono in un mondo grigio in cui la storia non è ancora arrivata – tanto da ricordare il meraviglioso Dead Man di Jim Jarmusch o, più recentemente,  I fratelli Sister di Jacques Audiard, mentre si rivela agli antipodi rispetto ad un racconto come Il Petroliere di Paul Thomas Anderson.

Se però Peter Hutton apriva la propria narrazione con la promessa di grandezza propria del capitalismo, andando poi a svelarne il cinismo fondante, Kelly Reichardt procede nel senso opposto: dopo aver osservato un mondo freddo, che funziona sulla base dell’indifferenza, si scopre un’amicizia che nasce silenziosamente perfino in quello stesso mondo.

In conclusione, First Cow si propone come una parabola molto toccante non tanto sull’amicizia, quanto sul valore del rapporto tra le persone, che qui viene indagato come il comune divisore di ogni fenomeno umano. È infine tramite uno sguardo rivolto al passato che ci viene proposto questo racconto, perché il film inizia nel presente: un presente in cui una donna, camminando nei boschi, scopre due scheletri sepolti insieme, come delle memorie in attesa di essere riscoperte. Un presente che ci viene presentato con il passaggio di una nave cargo, suggerendo malinconicamente che la storia è arrivata anche da quelle parti.

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