
Se vogliamo trovare una regola non detta nella saga di Halloween è che ha sempre funzionato nei casi in cui voleva andare avanti rispetto al capolavoro del 1978. A dimostrarlo più di tutti, nel 1982 abbiamo Halloween III – il signore della notte di Tommy Lee Wallace, che si muoveva secondo le intenzioni originali di Carpenter di raccontare una storia diversa per ogni film. Facendo un passo indietro, possiamo fare riferimento anche al secondo capitolo che, sceneggiato dallo stesso Carpenter, proseguiva la storia del ’78 solo per porvi la parola fine e poi andare oltre.
Ma l’esperimento del 1982, vista l’accoglienza di critica e pubblico, finisce prevedibilmente per rimanere una mosca bianca, perché nel 1988 arriva Halloween 4 e Michael Myers torna a trascinare un film dopo l’altro una saga horror che inevitabilmente sarebbe caduta nel solito ciclo di perpetua mediocrità come molte altre.
Nel 2007 giunge inaspettatamente al suo canto del cigno nelle mani di Rob Zombie, incaricato di dirigere un remake del film originale. Il successo di Halloween – the beginning permette a Zombie di occuparsi anche di un sequel, con il quale porta alle estreme conseguenze la rottura nei confronti dell’opera di Carpenter, in un film spietato, sporco, carico di una violenza barbarica e scandito da sequenze oniriche che sembrano tratte da Vampyr e che lo rendono alla stregua di una fiaba grottesca: il miglior Halloween dai tempi dell’originale, proprio in virtù del suo tradimento. Non gode tuttavia del successo del capitolo precedente e la saga si ferma. Nove anni dopo arriva David Gordon Green. Minaccioso.
Nelle puntate precedenti
La trilogia di David Gordon Green si pone come sequel diretto del film di Carpenter, annullando quanto raccontato fino ad allora. Sono passati quarant’anni dagli omicidi di Haddonfield, quarant’anni che Laurie Strode ha vissuto tormentata dal ricordo di quella notte di violenza, preparandosi per il ritorno di Michael Myers: quanto generato da queste premesse è tale che se a Green avessero proposto l’ultimo Rambo non avremmo visto una pellicola significativamente diversa. Uniche possibili aggiunte, Michael Myers a piede libero e la casa di Laurie Strode con le funzionalità di un’improbabile bat-caverna.
Fin dal primo minuto del film sono chiare le intenzioni di omaggiare il capolavoro del ’78, tanto da richiamarlo ossessivamente per tutta la durata. Michael Myers è il male incarnato, e questo lo sappiamo da quarant’anni, ma la pellicola del 2018 prende questo concetto e lo carica, tra retorica e messinscena, oltre i limiti del pacchiano.
Andando avanti, nel 2021 Halloween kills porta tutto all’estremo: se da un lato il pubblico viene posto di fronte ad un ostentato attacco alla società americana, abituata alla violenza al punto da interiorizzarla, con Michael Myers che fa essenzialmente da catalizzatore, dall’altro sono evidenti gli intenti quantomeno autoironici della pellicola. Halloween kills è esagerato, urlato, confusionario, punta sull’eccesso e sul ridicolo, la fa fuori dal vaso e tutto sommato va bene così, perché è l’unica deriva minimamente funzionale che potevano prendere le storture ridicolmente grossolane del film del 2018.
Manca il capitolo finale. E va da sé che i connotati del terzo capitolo di una trilogia simile saranno quantomeno singolari.

Un finale da non credersi
È proprio vero che l’horror è il miglior genere cinematografico, perché quando consegue i propri obiettivi spaventa, quando fallisce fa ridere, e Halloween ends abbraccia la seconda casistica. Se però in Kills l’ilarità era in parte ricercata, qui è l’effetto collaterale di una pretenziosità mal riposta, come e anche di più di quanto visto nel 2018.
Tutto ciò che era recriminabile ai due film precedenti è riproposto esponenzialmente in Ends, un film che dovrebbe chiudere non solo una trilogia ma un’intera saga, e che nel mentre non sa neanche da dove partire. Sconnesso rispetto ai capitoli precedenti e sconnesso rispetto a se stesso, vuole parlare dell’eredità di una saga, intavolando a tutti gli effetti una dichiarazione di intenti, eppure finisce con un nulla di fatto, lasciando molte perplessità sul discutibile contenuto narrativo e le effettive intenzioni dell’operazione.
Il significato del film, già di per sé artefatto, viene urlato da ogni singolo personaggio, in dialoghi irricevibili e pregni di una retorica puerile. L’idea di un male (si intende Michael Myers, che, se non fosse chiaro, è il male incarnato) che cresce sotto la città infettandone le radici, per quanto nell’esecuzione ricordi It, è intrigante, perfino vincente, ma in alcun modo sostenuta da una narrazione sensata e che sappia applicare i concetti intavolati se non scadendo nel ridicolo.

Conclusioni
L’epocale conclusione del rapporto privo di soluzione di continuità di preda e predatore tra Laurie Strode e Michael Myers non è pervenuta: il film, più vicino ad un ipotetico Scream ma privo di intenzionalità, si perde nella preparazione di un passaggio di testimone finché, negli ultimi venti minuti, si ricorda dei protagonisti attorno i quali, date le premesse, dovrebbe gravitare la narrazione, mandando alle ortiche quanto seminato fino a quel momento.
Halloween ends non ha le idee chiare su quali siano le proprie intenzioni, si distrae da solo rispetto ai propri obiettivi narrativi e si perde nella celebrazione del film di Carpenter, proprio come il resto della trilogia, confermando che nella saga di Halloween è stato partorito qualcosa di sensato quando c’erano le intenzioni di andare oltre il proprio capostipite.
La trilogia di David Gordon Green doveva segnare un punto di svolta per la saga rilanciandola, inaugurando una nuova fase e aprendo le porte al suo futuro, ma quando si tratta di chiarire nel concreto quale futuro esso sia, fa un passo indietro: arrivati al gran finale, manca da capire quale fosse il senso ultimo di tutta questa confusione. Almeno si ride, dalla prima scena (soprattutto la prima scena) all’ultima, perché, a modo suo, è veramente un finale incredibile.
Scrivo a vanvera di film che non capisco.