House of Gucci e il 2021 di Ridley Scott

House of Gucci è uno di quei film preceduti dalla propria fama (o infamia), dal momento che già mesi prima della distribuzione nelle sale ha seminato scetticismo e polemiche, che si trattasse di un utilizzo improprio di un inglese maccheronico, dell’abbondanza di battute ad effetto o della veste estetica. E al di là dell’effettivo risultato finale, da criticare laddove è criticabile, House of Gucci ha sofferto molto del preconcetto generale.

Solo pochi mesi fa, Ridley Scott aveva convinto con The Last Duel, e non poco: un film che basa la propria narrazione sull’inattendibilità dei suoi narratori (richiamando a gran voce Rashomon di Kurosawa) fino al violento scontro delle diverse verità e che, pur sacrificando l’ambiguità del racconto in favore di una lettura più immediata e in linea con una morale moderna, conferma da un lato le ottime qualità di Ben Affleck e Matt Damon come sceneggiatori, dall’altro l’indiscusso valore di Ridley Scott come regista.

House of Gucci rappresenta purtroppo un notevole passo indietro rispetto a quanto visto ad ottobre e molte (non tutte) perplessità trovano conferma. Il film si muove goffamente tra la farsa e la cronaca nera, insistendo su una lettura tendenziosamente grottesca delle vicende toccate e giocando in maniera quasi parossistica con frasi ad effetto forzate in dialoghi artificiosi e farciti di cliché.

Di riflesso, i personaggi coinvolti vengono inevitabilmente ridotti a delle squallide caricature che si agitano disordinatamente tra dinamiche ben più congeniali ad una soap opera: sono tutti indiscriminatamente e inspiegabilmente ignoranti, ottusi, pieni di malizia e, mentre l’interesse dovrebbe essere rivolto ad un’intera famiglia, ognuno viene raccontato a sé e isolato nella propria bolla. La narrazione ne risulta frammentata e discontinua, perde presto un proprio ritmo e non trova una direzione in cui muoversi.

È un film paradossalmente tanto privo di una propria identità estetica (la regia, per quanto sempre solida e non esente da intuizioni notevoli, viene appesantita da una fotografia sgraziata e perennemente livida) quanto disinteressato al mondo con cui si confronta: altera inutilmente la storia per romanzarla, fallendo comunque nel rendere interessanti gli eventi cui si riferisce e mantenendosi approssimativo e superficiale nel ritratto che offre della realtà famigliare e imprenditoriale dei Gucci.

Altro motivo di dispiacere riguarda la gestione di un cast ricco di grandi talenti, tra Adam Driver, Al Pacino, Jeremy Irons e Salma Hayek: attori di primo livello che qui risultano sprecati, comunque incapaci di regalare cattive interpretazioni ma incastrati in ruoli insulsi. Di tutti, l’attore che meglio si è prestato al film è Jared Leto con il suo Paolo Gucci, al punto da tradursi nell’emblema della natura della pellicola: un personaggio caricaturale per un’interpretazione caricaturale in un film caricaturale.

Perché a conti fatti, House of Gucci non è camp né trash come molti temevano: alcuni lo riterranno offensivo, ma al massimo è pacchiano, sicuramente kitsch e in una certa misura è un’idea di cinema ovviamente ricercata da Scott, mancherebbe da capire fino a che punto. Più di tutto però, è un film mediocre che sta facendo parlare di sé più di quanto ce ne ricorderemo tra un paio di mesi. E questo 2021 per Ridely Scott si conferma in linea con gli ultimi anni della sua filmografia, ormai qualitativamente molto discontinua.

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