
Il cinema spesso tende a parlare di sé stesso, sin dagli inizi. Ma non tutti riescono a parlare di questo mondo e delle sue storie in maniera sublime come tutti. Ecco quindi alcuni film, conosciuti e meno conosciuti che chiunque sia incuriosito o appassionato, dovrebbe recuperare e tenere stretti.
“Adaptation” (2002)

Dopo “Being John Malkovich” (1999), il regista Spike Jonze e lo sceneggiatore Charlie Kaufman nel 2002 tornano insieme per creare questa pellicola con protagonisti Nicolas Cage, Nicolas Cage, Meryl Streep, Chris Cooper e Cara Seymour. Un film incasinato di natura, come la mente del protagonista, ancora capace non solo di analizzare lo smarrimento dell’animo umano e i suoi tentativi pericolosi di adattarsi, ma anche di raccontare una bella storia in una cornice narrativa, non originalissima ovviamente ma unica.

Ed è proprio la storia dell’impacciato sceneggiatore Charlie Kaufman, alle prese con l’adattamento cinematografico del libro “Il ladro di orchidee” (titolo italiano del film, che fa combo con l’orribile “Se mi lasci ti cancello”, scritto sempre da Kaufman). Alle prese con la sua timidezza con le donne e con un fratello gemello (dalla dubbia esistenza) che sembra sempre fare le cose meglio di lui. Ciò che Charlie tenta di scrivere, appare ed a tutti gli effetti lo è stato, il film che poi vediamo contemporaneamente sullo schermo.
“Edwood” (1994)

Pellicola poco conosciuta e/o spesso sottovalutata del visionario Tim Burton. Narra alcune vicende di Edward D. Wood Jr. che negli anni ’50, a detta di quasi tutti a quei tempi, realizzò alcuni tra i film più brutti di sempre. Il più famoso, il suo primo lungometraggio “Glen or Glenda” (1953) è un lavoro molto personale in quanto lo stesso Edwood aveva la passione di vestirsi con abiti da donna. Sicuramente non un capolavoro, ma potente per il budget con il quale venne girato, l’anno di uscita e le tematiche che provò ad affrontare. Inoltre, vantò nel cast un ormai distrutto Bela Lugosi, dimenticato e denigrato da tutta la comunità cinematografica.

Il punto di forza di questo film, oltre ai sempre chiaramente visibili e unici, stile e visione di Burton, è l’eccentrico e stravagante ritratto di un personaggio realmente esistito, interpretato da Johnny Depp. E in lui, Burton riversa tutta la sua follia e il suo amore per il cinema.
“Singin’ in the rain” (1952)

Uno dei film più visti e amati di sempre, ma che può essere forse sfuggito a qualcuno. Il musical per eccellenza degli anni ’50, diretto da Stanley Donen e Gene Kelly e che vede come protagonisti lo stesso Gene Kelly, Donald O’Connor e Debbie Reynolds.

Siamo ad Hollywood, alla fine degli anni ’20. Momento fondamentale di transazione per il cinema, alla pari solo con l’avvento del digitale forse. Si parla del passaggio dal cinema muto a quello sonoro. Purtroppo per il produttore della “Monumental Pictures”, i primi film sonori (presi un po’ in giro come buffonate all’inizio) hanno successo. Quindi, la casa di produzione deve adattarsi ai tempi e trasformare un loro film in un film sonoro. Oltre a diverse complicazioni, giunge un problema assai grave: la bellissima attrice del cinema muto ha una voce stridula e insopportabile! Così il ballerino Cosmo (Donald O’Connor), amico della star Don Lockwood (Gene Kelly), propone di girare un musical interpretato dall’attrice, ma doppiato dalla giovane attrice e cantante Kathy (Debbie Reynolds).
“8 ½” (1963)

Il capolavoro di tutti i tempi ideato e diretto da Federico Fellini e sceneggiato da lui, il mitico Ennio Flaiano, Brunello Rondi e Tullio Pinelli (che collaborò con il regista sin da “Lo sceicco bianco” del 1952). Fonte d’ispirazione per tutti i registi e sceneggiatori dopo di lei, questa pellicola è stata per esempio inserita nella lista dei 500 migliori film della storia della rivista Empire. Inoltre, è impossibile non vedere quanto 8 ½ ci sia in “Adaptation” del 2002.

Il titolo dell’opera, in mancanza di un titolo vero e proprio e di una sceneggiatura vera e propria, rimase il titolo provvisorio, ovvero l’ottavo film e mezzo del regista (sei diretti da lui e tre co-diretti). Racconta a tutti gli effetti la storia dell’ideazione di questo film del regista, che qui non si chiama Federico Fellini, bensì Guido Anselmi (Marcello Mastroianni). Il regista è alla prese con l’ideazione di un film, soffocato da troppe piccole idee e troppi ricordi nei quali non riesce a mettere ordine e a cui non riesce a dare un significato. Inoltre, combatte con il conflitto critico interiore sul perché mai al pubblico dovrebbero interessare.