On the verge (Al limite) è una serie di cui si è parlato poco, una chicca di Netflix il cui tono ha molto più del cinema che della scrittura seriale. E infatti è scritta da una delle protagoniste, Julie Deply.
Il tema, come spesso accade nei prodotti a metà tra la comedy e il drama, è quello della quotidianità, delle sfide del presente, ammantate da dolcezza e malinconia, in questo caso.
Osserviamo la vita di quattro amiche di mezza età, con vite molto diverse le une dalle altre e per questo ricche di spunti anche inaspettati.
La forza delle varie storie è quella di riuscire sempre a far sorridere senza diventare grottesca, senza aver bisogno di battute eclatanti, è- come direbbe l’algoritmo riguardo ad un qualsiasi film di Woody Allen- commedia intelligente.

Julie Deply per esempio interpreta Justine, una chef di fama nazionale, innamorata del proprio lavoro e del proprio gatto, ma che si ritrova a far fronte ai capricci di un marito il quale le imputa la colpa di aver fatto arenare la propria carriera. Già questo potrebbe diventare un rapporto cliché ed invece On the verge riesce a coglierne tutta la complessità attraverso dialoghi sagaci e sempre essenziali, non c’è spazio né per il patetismo né per eccessi di ironia.
Viene dato spazio a tutti i personaggi con eguale fedeltà, sono realistici, teneri anche quando disperati e mossi da sentimenti sempre complessi, anche quando secondari, come gli ex compagni di Ell, per esempio, quando le danno una mano a realizzare il suo show originale sul web, una specie di Keeping Up With The Kardashians i cui interpreti sono i suoi figli e se stessa, e al posto di ville e festini si condivide un piccolo appartamento pieno di vivaci litigi.
In alcuni punti ci si emoziona, ma sempre sorridendo, in altri ci viene voglia di cercare una canzone sentita sotto ad un finale di puntata o di cercare questo o quel volto noto che sembra fare un cameo. La storia è scritta bene, ci racconta qualcosa che pensiamo di sapere ma di cui non possiamo mai aver capito tutto e soprattutto lo fa da una prospettiva non così indagata dai prodotti televisivi e cinematografici, quella della professionista né giovane né anziana, spesso sola ma con figli a cui badare e dare amore. E il motore è sempre l’amicizia, il riconoscersi e volersi bene per quello che siamo, anche a fine giornata, dopo tutti i guai.
E se a prima vista vi sembra banale, fate bene caso all’interpretazione di praticamente tutto il cast- non è scontato trovarne di così alto livello su Netflix.
Chiusura obbligata per una serie intelligente pensata prima e durante il primo lockdown, alle avvisaglie della pandemia, raccontata nei dieci minuti finali con una serie di battute magistrali.
23 anni, studio Italianistica. Ho visto Mean Girls 27 volte.