
Il successo di John Wick nel 2014 non era affatto da dare per scontato, tanto da giungere inaspettato perfino ai suoi creatori, Keanu Reeves compreso. Soprattutto considerata la posizione in cui si trovava all’epoca quest’ultimo: una vera icona cinematografica che, tuttavia, aveva visto i più recenti progetti che lo coinvolgevano in veste di protagonista rivelarsi delle delusioni tanto al botteghino quanto in merito all’apprezzamento generale.
Eppure, ormai nove anni dopo, John Wick è diventato una saga di successo, mantenendo una propria cifra stilistica di capitolo in capitolo e conquistandosi una propria iconicità nel panorama del cinema di massa. E nel mentre, cosa ancor meno scontata dopo la saga di Matrix, Keanu Reeves è riuscito a reinventarsi come nuova icona action. Un successo che ha continuato a dare conferme nel corso degli anni e che nel 2023 sembrerebbe aver raggiunto un proprio punto di arrivo. Ed è proprio il punto di arrivo a sollevare delle perplessità.
Il quarto capitolo della saga con protagonista Keanu Reeves prosegue la china anticipata da Parabellum, indulgendo sui combattimenti tanto nell’assurdità quanto nella durata e saturandosi di comprimari che, con le rispettive specificità, per la maggior parte esistono con l’unico scopo di colorare e rendere caratteristico questo mondo di assassini.
Così facendo, John Wick insegue ormai, più o meno consapevolmente, un’assurdità più familiare ad un ipotetico Kingsman. Non smarrisce la propria identità, né la uniforma ad altri esempi: semplicemente Chad Stahelski ha ormai inquadrato una formula che pare essere vincente e punta tutto su di essa, smarrendo inevitabilmente qualcosa per strada.
L’azione

Se la saga di John Wick ha il grande merito di aver riproposto con successo un’idea di action puro, in un’epoca in cui al cinema l’action è ormai un genere trasversale, di riflesso e ibrido, è singolare che il punto critico di un capitolo così importante sia proprio l’azione: sequenze lunghe e che vanno per accumulo man mano che la storia procede, tanto autocelebrative da sottrarre spazio al percorso del protagonista, finendo per soffocarlo.
Magnificamente coreografate e dirette, si inseguono come se fossero scene cantate in un musical, mai ripetitive. Ciononostante, per quanto lodevoli per l’ottima tecnica di Chad Stahelski, piegano la narrazione ad un’impostazione più tipicamente videoludica, scandendo il percorso del protagonista per livelli, e giunti in fondo rimane del rammarico per come tutto quello spazio poteva essere impiegato altrimenti. Le tre ore di durata magari sarebbero state giustificabili se il film si fosse posto più esigenze narrative che spettacolari.
Il protagonista

Se, dopo una mezz’ora iniziale da applausi, in Parabellum John Wick era una preda, in questo capitolo è il cacciatore, in guerra contro la Gran Tavola per ottenere finalmente la libertà dal proprio passato. Eppure è una contrapposizione mai evidenziata dalla narrazione, se non nel prologo. Si lavora meno sul personaggio, in un momento della saga con un proprio peso ben specifico: pur centrandosi maggiormente sul protagonista nell’ora finale, la narrazione non restituisce, almeno fino all’ultimo atto, la sensazione di un percorso che ha ormai superato il giro di boa, se non per qualche frase ad effetto il cui peso vive semplicemente del riflesso di quanto raccontato nei film precedenti.
Si perde tra l’azione e i comprimari con le rispettive sottotrame, molte con un’utilità tutta da discutere, se non quella di annacquare la durata. Ne risulta un film quasi impersonale, tematizzato in maniera molto blanda e che inevitabilmente, se non in momenti specifici, non centra la prospettiva del protagonista, tanto che la storia sembra giungere al gran finale con il pilota automatico rispetto alle proprie premesse narrative.
La conclusione

John Wick 4 è ben lontano dall’essere una visione sgradevole, fosse anche solo per la cura estetica e la notevole prova registica di Chad Stahelski. John Wick rimane fino in fondo un ottimo esempio di cinema action, ribadendo il proprio debito verso John Woo e citando massivamente I guerrieri della notte di Walter Hill (a momenti fin troppo smaccatamente).
È in definitiva una conclusione che non manca di regalare delle buone soddisfazioni, ma limitate stavolta, più che nei capitoli precedenti, ad una dimensione meramente spettacolare, lasciando poco realmente di impatto in merito al contenuto. Contenuto certamente non misero, ma che rende evidente come le priorità della saga siano cambiate sul proprio finale.
Scrivo a vanvera di film che non capisco.