Manhunt: Unabomber. Recensione del piccolo grande gioiello nascosto nel catalogo Netflix.

Il trailer di “Manhunt: Unabomber”

Una storia vera per una serie di alto livello…

Qualità. Questa è la parola perfetta per descrivere “Manhunt: Unabomber”, miniserie statunitense creata da Andrew Sodroski, Jim Clemente e Tony Gittelson. Uscito nel 2017 su Discovery Channel, questo thriller investigativo racconta le indagini e la caccia condotte dall’FBI contro il noto terrorista Unabomber (celebre per il suo singolare modo di uccidere le proprie vittime, mediante la spedizione per posta di pacchi-bomba) e lo fa con una scelta coraggiosa, dividendo la narrazione in due linee temporali: una relativa alle indagini del 1995, l’altra successiva alla cattura dello stesso Unabomber, nel 1997, che si concentra sulla necessità dell’FBI ottenere la confessione di quest’ultimo. “Manhunt” è un thriller atipico perché non cela nulla allo spettatore, anzi, gli sbatte in faccia l’epilogo della vicenda fin dai primi minuti e questa scelta narrativa funziona proprio perché consente a chi guarda di concentrarsi sui dettagli, il vero elemento imprescindibile. Non conta come si conclude la ricerca del killer, bensì i gli effetti e le reazioni che questa estenuante caccia riflette sugli altri personaggi e i continui spunti di riflessione che nascono con l’incedere della trama. E sono proprio i personaggi ad essere il vero punto di forza di questa serie: tridimensionali, profondi, scritti nei minimi dettagli. Il protagonista, James Fitzgerald “Fitz” (Sam Worthington), profiler del Buroe, considerato uno dei migliori nel suo settore presenta un carattere sfaccettato e una scrittura estremamente fine e minuziosa. L’antagonista è ovviamente Ted Kaczynski “Unabomber” (Paul Bettany), la nemesi di Fitz, un cattivo magnetico, inafferrabile, guidato da convinzioni radicate in profondità e la sua “assenza” continua, la sua invisibilità, conferiscono al tutto una sensazione di costante pericolo. Questi due caratteri sono i pilastri di “Manhunt” e reggono da soli l’intera serie. Il lato tecnico è oggettivamente impeccabile, la regia sempre chiara e precisa, le musiche incalzanti e il montaggio riesce a dare quel qualcosa in più senza mai diventare protagonista, adattandosi perfettamente al ritmo richiesto dalla narrazione. Il cast oltre ai due personaggi principali vanta nomi di eccezione, come Chris Noth e Jane Lynch. I dialoghi? La ciliegina sulla torta. Semplicemente incredibili.

Profiling e Linguistica Forense…

Le indagini del 1995 sono la costante: precise, minuziose e dettagliate. Tutto ruota attorno al linguaggio e all’analisi dello stesso. Fitz e i suoi colleghi studiano il modo di esprimersi di Unabomber, le peculiarità del suo vocabolario e tutto sulla base delle lettere scritte a macchina che spesso il terrorista inviava ai media. Tra negoziazioni, false piste (come l’identikit più famoso della storia, rivelatosi sbagliato) e buchi nell’acqua continui (Nathan R), il lavoro del profiler è l’unica cosa che porta frutti all’indagine, anche se nessuno sembra accorgersene. Il talento di Fitz si manifesta ripetutamente, con l’alternanza di colpi di genio e l’uso delle sue straordinarie capacità deduttive. Fitz studia l’idioletto del serial killer, capisce chi è dal modo in cui parla, fino a ricostruirne gli interessi, le idee, le tappe fondamentali della sua vita, le sue caratteristiche caratteriali e anagrafiche. Si tratta di un metodo innovativo e mai adottato prima, denominato “Linguistica Forense” ed è davvero interessante seguire tutti i procedimenti svolti da Fitz e dalla sua squadra per trovare un’analogia, un proverbio, qualcosa che contribuisca a delineare un profilo.

Theodore Kaczynski: genesi e filosofia di un grandissimo villain…

Inafferrabile, introvabile, sempre un passo avanti. Queste le principali caratteristiche che saltano all’occhio quando si parla di Ted Kaczynski, l’antagonista, il villain perfetto, l’uomo attorno al quale gira l’intera vicenda. Ma Unabomber è molto più di questo. Lui è diverso dagli altri serial killer: non torna sulla scena del crimine per compiacersi del suo operato, non prova il gusto della vendetta; odia le sue vittime non in quanto individui, ma in quanto simboli. Cerca di mandare un messaggio, per questo usa la posta, ma cosa cerca di dire? Per anni l’FBI ha sottovalutato Unabomber, considerandolo un pazzo senza cultura né valori, ma la verità è un’altra. Ted Kaczynski è un uomo estremamente intelligente, con un Qi di 167, uno che si è specializzato ad Harvard, guidato da una profonda filosofia personale. Secondo Ted la società tecnologica è incompatibile con la libertà individuale; è convinto che la rivoluzione industriale abbia avuto gravissime conseguenze sulle persone e che il progresso tecnologico abbia causato un inasprimento dei rapporti umani. Le libertà si trasformano in vincoli e si finisce con l’essere schiavi di ciò che si possiede. La sua è una filosofia estrema, secondo la quale l’uomo, per essere libero, deve tornare ad uno stile di vita primitivo, immerso nella natura; stile di vita che conduce lo stesso Ted, isolato dal mondo, nei boschi del Montana. Unabomber denuncia il sistema, in cui ogni persona si comporta come un robot, limitandosi ad essere un ingranaggio della macchina della società, sonnambula. Secondo Ted, la società ha reso le persone “un branco di pecore che vive in un mondo di pecore”. Lui manda le sue bombe per dimostrare che è proprio a causa di questa serie di ingranaggi fondati sull’obbedienza che può raggiungere e uccidere chiunque, ovunque sia. Unabomber arriva a pubblicare il suo Manifesto, nel quale oltre ad esprimere le sue idee, cerca di mostrare un’immagine perfetta di pubblica superiorità ed è questo uno dei suoi punti deboli. Ted ha vissuto tutta la vita come un emarginato, un diverso, a causa delle sue grandi difficoltà nel relazionarsi con le persone. Ha paura che gli altri vedano i suoi difetti. Si sente poco apprezzato, vittimizzato; desidera contatto umano, ma questo suo vivere la vita idilliaca descritta nel Manifesto lo ha allontanato dalla normalità e lo ha portato a rinunciare a quello che effettivamente era il suo più grande desiderio: essere amato, essere considerato. L’interpretazione di Paul Bettany è incredibile: magnetica, ipnotica, calzante. Unabomber prende vita sullo schermo, lo trapassa e catalizza tutta l’attenzione ogni volta che entra in scena, raggiungendo livelli di profondità, realismo e immedesimazione inimmaginabili. Assurda, davvero, l’esclusione di Bettany dalle nomination per gli Emmy Awards 2018.

Il protagonista perfetto per una storia del genere…

Se l’antagonista, Ted, è un personaggio di grandissimo spessore, James Fitzgerald è il protagonista perfetto per una serie come “Manhunt”. Un uomo brillante, eccellente nel suo lavoro, nonostante quello Unabomber sia il suo primo caso. Un ritrovato Sam Worthington si cala perfettamente nei panni di un uomo la cui esistenza sarà completamente rivoluzionata dal Terrorista dei Pacchi-Bomba. Il lavoro maniacale di James, la sua diligenza, la sua dedizione lo porteranno ad entrare nella mente del serial killer, a pensare come lui, a condividere le sue idee.

“Conosco Unabomber meglio di quanto conosca me stesso”

Fitz è un personaggio tormentato che ammira Ted, ammira la sua intelligenza e per lui le indagini diventeranno un’ossessione vera e propria che lo porterà a tradire la sua partner nelle ricerche, a usare le altre persone per raggiungere i suoi scopi, a rompere i legami con loro, perfino con la sua famiglia.

“Ha solo il coraggio di vivere secondo i suoi ideali e questo lo rispetto.”

Fitz passa la vita a cercare di ottenere rispetto, riconoscimento e in questo somiglia tantissimo al killer a cui dà la caccia. Nemmeno quando, effettivamente, prenderà Unabomber, riceverà i giusti riconoscimenti e questo lo porterà a recidere i rapporti con la sua realtà, a isolarsi, a vivere esattamente la vita idilliaca e primitiva che Ted descrive nel Manifesto. Le teorie e la filosofia di Unabomber hanno perfettamente senso per James. Lui stesso afferma che alle persone piace sentirsi in trappola. Emblematica la storia del semaforo rosso, simbolo di obbedienza, davanti al quale Fitz si ferma anche quando non sarebbe necessario.

“Ero fermo al semaforo rosso e aspettavo… aspettavo. Non c’erano auto in giro e restai fermo. Obbedii.”

Una partita a scacchi tra due ammiratori…

La linea narrativa del 1997 è una partita a scacchi tra James e Ted. James ha voluto Ted nella sua vita più di chiunque altro e per questa ragione sceglie di tornare per convincerlo a confessare di essere Unabomber. Prenderlo è stata l’unica cosa importante che Fitz abbia mai fatto, per questo la possibilità che Ted possa uscire per un vizio di forma (albero avvelenato) del mandato lo terrorizza. Se lui uscisse da uomo libero, James vedrebbe ogni cosa scivolare via. Unabomber è il lascito di Fitz.

“Tu eri quello che aveva preso Unabomber, ma io sto per uscire. Sai, la cosa che mi fa più tristezza di te, James, è che puoi anche scappare a vivere nei boschi, abbandonando moglie e figli per poter studiare il Manifesto lettera per lettera, ma niente di tutto ciò farà mai un briciolo di differenza per qualcuno. La cosa migliore che potrai mai essere… è una pallida imitazione di me.”

Queste le parole di Ted a Fitz in uno dei dialoghi più intensi della serie ed è davvero sorprendente che proprio nella necessità viscerale di riconoscimento comune a entrambi si celi il punto debole della difesa di Ted stesso. Se si dichiarasse non colpevole, dovrebbe ammettere di non essere Unabomber, di non aver scritto il Manifesto. Perderebbe tutto.

“Le bombe attirano l’attenzione, ma sono le idee ad iniziare le rivoluzioni.”

In questa frase di Ted, tutta la forza delle argomentazioni di Fitz, che cita nuovamente Unabomber quando gli dice che non può avere “La moglie ubriaca e la botte piena” (proverbio ricorrente, che andò perfino a formare l’onere della prova nelle indagini del 1995). Non può tornare in libertà senza essere dimenticato. Successivamente Ted viene tradito perfino dalla sua difesa, che vorrebbe appellarsi all’infermità mentale, salvandolo dall’ergastolo e condannandolo a diventare ciò che ha sempre odiato: una pecora. Ed è proprio quando Fitz lo convince a confessare per la sopravvivenza delle sue idee e Ted si dichiara colpevole, che emerge finalmente la vera differenza tra i due: l’empatia. Quell’elemento che porta Unabomber a fare del male e James a catturarlo. Per quanto simili, per quanto affini nelle idee e nelle convinzioni, sono le loro azioni a definirli.

Manhunt Unabomber è una piccola perla nascosta nel catalogo Netflix. Godibile, interessante e profonda, questa miniserie si distingue per la qualità altissima del comparto tecnico, dei dialoghi, dell’interpretazione. Sam Worthington e Paul Bettany sono straordinari e ci regalano due personaggi estremamente complessi che reggono da soli l’intera vicenda.

Voto: 8/10

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