Perché la prima stagione di True Detective è un cult che ha cambiato la storia delle Serie Tv

Lo scorso 19 Marzo è stato svelato che la quarta stagione di True Detective è entrata ufficialmente in fase di lavorazione. Il produttore esecutivo, nonché premio Oscar, Barry Jenkins sarà affiancato da Issa Lopèz nella scrittura della sceneggiatura del nuovo capitolo della serie antologica HBO, mentre ancora non figura tra le persone coinvolte nel progetto il creatore della serie Nic Pizzolatto. Dopo l’esordio nel 2014, True Detective ha avuto altri due capitoli che non hanno però mai raggiunto i fasti della prima, indimenticabile, stagione. Oggi recensirò la prima stagione di questa iconica serie tv, analizzando i motivi che hanno reso True Detective un cult che ha cambiato il concetto di serie tv.

La trama di True Detective

La serie racconta le vicende di Rust Cohle (Matthew McConaughey) e Marty Hart (Woody Harrelson), due detective della polizia di Stato della Louisiana che si trovano alle prese con un terrificante caso di omicidio di natura rituale. La storia si articola su due piani temporali principali: quello del 1995, in cui si svolgono le indagini sul caso e quello del 2012, in cui entrambi i detective sono chiamati a rilasciare una deposizione sugli accadimenti del 1995 che potrebbero essere collegati ad un nuovo omicidio molto simile; i racconti del presente si inseriscono nella narrazione come descrizioni degli avvenimenti passati. A queste due linee temporali se ne aggiungerà una secondaria, quella del 2002. La base potrebbe apparire quella della tipica serie crime, ma True Detective è molto più di questo. Sì, è la storia del caso Dora Lange, ma è soprattutto il racconto di come questo omicidio cambierà radicalmente l’esistenza di Rust e Marty. Un’immersione nella loro interiorità.

Il contesto ideale per una storia del genere

Una buona storia, per funzionare, necessita di un contesto adeguato e quello in in cui si svolgono i fatti sembra creato appositamente per un racconto di questo tipo. La Louisiana rurale non si limita ad essere lo scenario, ma si eleva a protagonista. La terra stessa su cui si muovono i personaggi sembra pulsare sotto i loro piedi, come se potesse risucchiarli da un momento all’altro. Le aspre paludi dei Bayou sono la cornice di un racconto cupo, scabroso e malato, la cui corruzione viene percepita immediatamente dallo spettatore, complice anche una fotografia arrugginita e torbida. Interminabili istanti di silenzio, lamenti e canti religiosi fanno da colonna sonora alla manifestazione di un male atavico e violento. Questo angosciante sfondo incarna perfettamente lo stato d’animo dei due detective, e si rende metafora perfetta dell’asfissiante condizione umana.

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“True Detective” è il nome della serie, ma è anche l’estrema sintesi del lavoro fatto con i protagonisti. Li vediamo per quello che sono, nella loro vera essenza. L’introspezione è fatta divinamente. In soli otto episodi, Nic Pizzolatto racconta tutto quello che c’è da dire su due personaggi estremamente complessi che vengono sviscerati completamente. L’intera storia gira intorno a Rust e Marty e sono proprio le dinamiche fra i due a fungere da motore della narrazione. Due uomini estremamente diversi sono costretti a lavorare sullo stesso caso pur essendo agli antipodi nell’approccio alla professione, al caso, alla vita stessa.

Marty

Martin Hart, interpretato da un Woody Harrelson in stato di grazia è il poliziotto del posto e si comporta come tale, difendendone tradizioni, mentalità, morale e allo stesso tempo è un ipocrita. La sua maschera da uomo retto, moralmente integro, rispettoso nei confronti dei dettami cristiani, difensore della famiglia cade molto rapidamente, mostrando il volto di un uomo pieno di vizi, predisposto all’alcolismo, il volto di uno che tradisce la moglie con la giustificazione di dover scaricare la tensione per ricoprire al meglio il suo ruolo di padre di famiglia. Il suo personaggio è così ben scritto perché riesce a non essere incoerente nonostante questo paradosso. Marty mente a se stesso: si traveste da colui che incarna valori che la sua formazione e la società gli hanno insegnato a inseguire e si autoconvince di essere ciò che non è, fino ad avere la coscienza pulita. Le occhiate incredule e indignate che lancia a Rust quando questi parla ne sono la dimostrazione. Vorrebbe davvero essere colui che si indigna ascoltando le teorie del partner.

Rust

E ora passiamo a Rust Cohle. Un personaggio oscuro, tormentato, profondo come l’abisso. Se Marty rappresenta il riferimento locale nella trama di True Detective, Rust è il caos. E’ colui che mina i valori del posto, colui che porta alla luce i vizi, la corruzione e li giudica con spietata durezza. Un passato tragico alle spalle, segnato dalla morte della figlia piccola e la sua indole lo hanno reso un uomo schivo, un pessimista cosmico e un nichilista. Uno straordinario detective e un filosofo intrappolato nel suo personale cerchio dell’Inferno. Il suo pensiero è un labirinto e racchiude gran parte della filosofia di True Detective, quindi lo approfondirò nel paragrafo dedicato. Il suo personaggio è uno dei soggetti televisivi migliori mai scritti. Matthew McConaughey è straordinario nel raccontare un uomo che ha accettato il suo mal di vivere e si è rifugiato in un’esistenza di riflessione, penitenza, dolore, ma comunque votata al bene.

“Stare con me non è facile. Credo che nessuna persona dovrebbe stare vicino a me. Io le logoro dentro, loro diventano infelici. Non è questo lavoro che mi ha reso così. Piuttosto è la mia indole che mi ha reso adatto a questo lavoro. Credevo il contrario, ma quando arrivi a una certa età sai chi sei.”

Fotografia e Simbolismo

La fotografia è senza dubbio uno degli elementi imprescindibili di True Detective, studiata appositamente da Adam Akrapaw per mettere in luce il marciume e il malessere che si respirano all’interno della serie. L’uso della luce e le composizioni visive sono arte pura, ma non si limitano ad essere semplici dimostrazioni di bravura fini a se stesse. La forma è contenuto. Le immagini raccontano la storia, la mentalità, lo stato d’animo dei personaggi meglio di come potrebbero fare le parole. Emblematica la “sinestesia” di Rust. Il senso che stimola un altro senso e che per il detective si traduce in vere e proprie visioni, alterando le sue percezioni sensoriali ed emotive. Nella scena dedicata ad una delle molteplici visioni, Rust volge lo sguardo al cielo e uno stormo di uccelli neri si libra in aria andando a comporre una sorta di spirale. Spirale che ritorna più e più volte all’interno dei vari episodi e si ripresenta ciclicamente, in maniera tangibile o esclusivamente come prodotto della mente di Rust. Le visioni sono parte integrante dell’esperienza del protagonista e lui stesso fatica a comprenderne la natura.

“Quando avevo quelle visioni, la maggior parte delle volte pensavo di essere matto. Ma c’erano altre volte in cui pensavo di riuscire a svelare la realtà segreta dell’universo.”

La sinestesia consente a Rust un’interazione con la realtà di un livello superiore ed è questo elemento che si rivelerà la scintilla per l’evoluzione del suo personaggio. Lui la sfrutterà per qualcosa, la metterà al servizio del bene, della risoluzione del caso. E questo sarà il fattore che consentirà a Rust di non restare immobile nonostante il suo pensiero filosofico estremo e radicato e permetterà alla catarsi di compiersi.

True Detective è anche una serie intrisa di simbolismo. Ogni immagine ha un valore, un significato, un collegamento: le iconografie, le visioni, i crocifissi, i murales hanno tutti un potentissimo valore evocativo. La serie tratta di un omicidio dietro il quale si celano orrori ancora più oscuri e profondi. I rituali, le maschere, i simboli richiamanti le forze ancestrali che costituiscono le fondamenta del culto di Carcosa. Ogni elemento è ideato e ricreato con una cura del dettaglio maniacale. Gli indizi che vengono alla luce man mano, durante la risoluzione del caso, sono anch’essi parte della simbologia nascosta dietro i rituali: il simbolo sulla schiena di Dora Lange, i riferimenti al Re Giallo, i tatuaggi sul corpo di Reggie Ledoux. E’ quasi impossibile non essere sedotti dall’inquietante oscurità di queste rappresentazioni mistiche.

Regia e comparto tecnico

La fotografia maestosa di Adam Arkapaw è accompagnata da una regia che rasenta la perfezione. Sotto la direzione di Cary Fukunaga, True Detective si è andata a prendere un posto nell’Olimpo delle serie televisive. Ogni scelta registica, ogni inquadratura è finalizzata a mettere in risalto gli aspetti più importanti della storia che si sta raccontando. Fukunaga dimostra tutta la sua bravura con movimenti di macchina intelligenti, adeguati al contesto ed esibendosi in virtuosismi solo quando la storia lo richiede e quando si prestano a raccontare ancora meglio un determinato passaggio. Notiamo un uso assiduo di campi lunghi e lunghissimi volti a evidenziare la desolazione dello scenario della Louisiana, conferendo ad ogni paesaggio un senso di smarrimento e di perdizione atto a simboleggiare la condizione esistenziale dei protagonisti.

Fa scuola ancora oggi la direzione della scena dell’incontro di Rust e Marty con Reggie Ledoux (Spoiler). Quando i detective arrivano alle baracche dove lo psicopatico tiene nascosti i bambini, le cose precipitano velocemente e le sequenze del passato sono intervallate e accompagnate dalle descrizioni di Rust e Marty nel presente. L’intera realizzazione della scena è un capolavoro di montaggio e sceneggiatura attraverso il quale lo spettatore capisce gradualmente che qualcosa non va, quando le descrizioni iniziano a discostarsi dalle immagini mostrate fino a rivelare due versioni della storia completamente slegate. Anche il monologo di Rust sull’esistenza umana intesa come sogno finalizzato all’autoinganno dell’essere umano è un piccolo gioiello di montaggio, in cui immagini, musica e parole si arricchiscono reciprocamente fino a creare una scena estremamente potente a conclusione dell’episodio 3.

Se parliamo di regia è impossibile non citare il long shot dell’episodio 1×04, in cui Fukunaga supera se stesso con un gioiello che ha fatto la storia della televisione. 6 minuti totali di piano sequenza. Una scena finalizzata a immergere completamente lo spettatore nell’azione, portandolo accanto a Rust in una sparatoria che unisce una componente stealth, fughe, scontri fisici corpo a corpo, conferendo al tutto una costante sensazione di tensione ininterrotta. Stiamo parlando di scene difficilissime da girare, perché non subiscono alcun taglio in fase di montaggio e trasmettono a chi assiste il massimo dell’adrenalina possibile. Un piano sequenza che rimarrà negli annali della televisione probabilmente accanto a quello della Battaglia dei Bastardi di Game of Thrones.

Per quanto concerne altri aspetti tecnici, le musiche sono incredibili (a partire dalla sigla) scelte con cura maniacale, evocative e la colonna sonora è diventata immediatamente iconica. Appare quasi superfluo parlare della bravura degli attori. Matthew McConaughey nei panni di Rust porta sul piccolo schermo una delle migliori interpretazioni mai viste, dando vita ad un personaggio memorabile, affascinante, misterioso, tormentato. Una delle migliori performance di un attore mostruoso. Da sottolineare anche l’eccellente prova di un Woody Harrelson che probabilmente tira fuori la migliore interpretazione della carriera. Perfetto per il ruolo, mette in scena un personaggio come Marty Hart vestendo alla perfezione i panni di un uomo che rappresenta un gigantesco “vorrei ma non posso” e lo rende vero con la sua espressività e i suoi divertentissimi sguardi allucinati. E’ doveroso citare la scena in cui Rust mostra a Marty un video di una delle messe nere la cui visione si rivela insostenibile per quest’ultimo, e Woody Harrelson tira fuori un’interpretazione estremamente intensa e viscerale trasmettendo allo spettatore tutto l’orrore che Marty sta vedendo esclusivamente attraverso la mimica facciale.

Rust Cohle e la filosofia di True Detective

Se parliamo della filosofia di True Detective, è impossibile non iniziare da Rust Cohle. Un concentrato di pessimismo cosmico e nichilismo. Rust crede che la coscienza umana sia un errore della natura, un tragico passo falso dell’evoluzione. Ciò ha portato l’essere umano ad essere troppo consapevole di se stesso, a credere di essere importante quando in realtà rappresenta un frammento insignificante dell’Universo. Da qui passa alla sua visione antinatalista, secondo cui gli esseri umani dovrebbero rifiutare la programmazione e smettere di riprodursi, avviandosi verso l’estinzione e sottraendo se stessi e altre anime all‘iniqua condanna dell’esistenza. Rust stesso parla della morte della figlia come di una liberazione dal peso di essere padre. Allo stesso tempo riconosce l’impossibilità di una simile soluzione proprio per via della programmazione dell’essere umano a sopravvivere e dell’assenza in quest’ultimo della predisposizione al suicidio. A sostegno delle sue teorie porta anche i malinconici dettagli che il suo lavoro gli permette di cogliere e arriva a riscontrare una conferma della sua visione della vita negli occhi delle vittime degli omicidi su cui si trova a indagare:

“Nelle nostre quattordici ore filate a guardare corpi morti capisci che loro l’hanno accolta. Non subito, ma proprio lì, all’ultimo istante. E’ un sollievo inequivocabile. Certo erano spaventati, ma poi hanno visto per la prima volta quanto fosse facile lasciarsi andare. Alla fine non devi aggrapparti così forte.”

Da qui la convinzione della futilità della vita. Noi, ognuno di noi e tutto questo grande dramma che è la vita non siamo mai stati altro che un cumulo di presunzione. La vita, l’amore, l’odio, il dolore sono solo un sogno grazie al quale pensiamo di essere persone. Il tutto viene integrato dalla sua conoscenza della teoria M, secondo cui il tempo è un cerchio piatto e tutto quello che abbiamo fatto lo faremo ancora e ancora. Le nostre vite si ripropongono ciclicamente come dei kart su una pista. La teoria M sviscera il concetto di loop con cui Rust giunge alla sua conclusione:

“Questo è il terribile segreto destino della vita stessa. Siamo in trappola, prigionieri di un incubo nel quale continuiamo a svegliarci.”

Rust crede nella futilità della vita e questo è anche uno dei motivi del suo perenne dibattito con Marty. La critica mossa da Rust nei confronti della religione trova il suo punto di approdo nella gelida sentenza sulla realizzazione e la risoluzione. La religione è solo fumo negli occhi per farti credere che un giorno tutto andrà bene e sarai realizzato. “Fanculo la realizzazione”; la realizzazione non si raggiunge, non fino all’ultimo istante. La sua filosofia si sviluppa soprattutto nello scontro ideologico con Marty. Quest’ultimo è immanenza, concretezza, tradizione. Rust è trascendenza, il frutto dell’unione di una serie di correnti filosofiche e di pensiero che vanno da Schopenhauer a Ciorian, da Leopardi a Nietzsche.

Il vero capolavoro, però, True Detective lo realizza quando entrambi i protagonisti entrano in contatto con l’orrore del Culto di Carcosa. Un male violento, ancestrale, disturbante. Gli orrori di questa setta non si limitano ad essere il nemico da combattere, ma portano Rust e Marty a mettere in discussione il proprio “Io”. I miti di Carcosa e del Re Giallo trovano le proprie fondamenta nella filosofia Lovercraftiana e si concretizzano nel terrificante Errol Childress. Il mostro alla fine dell’incubo. Il malato che si è convinto di essere qualcosa di più. Il Re Giallo. Lo psicopatico che vuole completare la propria ascensione ad essere soprannaturale, a divinità (come i Grandi Antichi Lovecraftiani) a cui sacrificare esseri umani. Meravigliosa la messa in scena di questo villain che è umano, ma appare quasi semidivino di fronte ai protagonisti. Nell’ultimo episodio della serie, Rust e Marty arrivano finalmente a Carcosa, il luogo infernale dove la setta praticava le messe nere in un labirinto di grotte e cunicoli sospeso a metà tra realtà ed esoterismo, il limbo maledetto da Dio dove si trovano ad affrontare da soli questo Anti-Cristo che è più un mostro ideologico che un vero villain. Affascinante come il contatto con il Male più profondo permetterà a Rust e Marty, dopo aver visto la morte in faccia nello scontro con Childress, di completare definitivamente il loro percorso esistenziale. Il vero scontro non è più quello per la sopravvivenza, ma è il dibattito filosofico tra due visioni della vita estremamente vicine, il nichilismo esistenziale di Rust e l’indifferenza cosmica Lovecraftiana di Childress che, però, si traduce in un approccio inerte all’esistenza. Questa è la discriminante. Una visione del mondo agli antipodi rispetto a quella di entrambi i protagonisti che, nonostante i loro demoni interiori, nonostante la distanza incolmabile tra le loro visioni del mondo, hanno sempre votato la propria vita alla difesa del Bene. True Detective è la catabasi di Rust e Marty nell’oscurità. Una costante discesa negli Inferi che porta entrambi a conclusioni opposte. Alla fine del viaggio, Marty matura, squarcia il suo Velo di Maya fatto di ottusa ipocrisia e inizia a vedere il mondo senza censure, accettandone il crudo realismo e accettando se stesso come uomo imperfetto. Smette di inseguire ciò che non potrà mai essere e si mostra per quello che è agli occhi della sua famiglia, mettendo a nudo tutte le sue debolezze. Accetta per la prima volta l’esistenza dell’oscurità accanto alla luce. Per Rust invece “il caso” è sempre stato il suo rapporto con la vita stessa. Ed è proprio quando sta per sfiorare la morte che Rust avverte l’amore di sua figlia e ne accetta la morte, riconciliandosi con l’esistenza. Il pessimista cosmico rinasce spiritualmente liberando la sua anima da ogni sofferenza, squarcia il suo Velo e accetta di vedere la luce anche nelle tenebre più profonde.

“Credo che ti sbagli sul cielo stellato. Una volta c’era solo l’oscurità, ma adesso la luce sta vincendo.”

Il finale agrodolce di True Detective

Il finale di True Detective si presta a varie interpretazioni, ma possiamo definirlo senza troppi dubbi un finale agrodolce. Giustizia non sarà mai fatta. Non fino in fondo. Childress era solo uno dei mostri. Molti altri non saranno mai presi. E molti altri orrori seguiranno. True Detective non è la storia della risoluzione di un caso con lieto fine annesso. E’ un viaggio nell’anima, nella vita. E’ il raggiungimento della consapevolezza che solo accettando il male e combattendolo potremo vedere il bene al di là di esso.

Conclusioni | True Detective

True Detective è un capolavoro. Una serie indimenticabile che vanta una storia profonda e realistica scritta da Nic Pizzolatto, una fotografia maestosa (Adam Arkapaw) e una regia mai vista prima in televisione (Cary Fukunaga). I personaggi meravigliosi di Rust e Marty, interpretati divinamente da Matthew McConaughey e Woody Harrelson sono tra i migliori mai scritti. Le tematiche filosofiche e esistenziali rendono questa serie un’opera d’arte. Cinema in televisione. Ecco perché la prima stagione di True Detective è un cult che ha cambiato la storia delle Serie Tv.

Voto: 10

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