Piccolo corpo: un piccolo miracolo di film

Presentato alla Semaine de la critique del Festival di Cannes l’anno scorso, arriva nelle sale italiane questo mese l’opera prima di Laura Samani.

Piccolo corpo prende le proprie mosse dalle voci relative ai Santuari del respiro, o à répit: molto diffusi specialmente in alcune regioni francesi, erano la risposta alla credenza arcaica secondo cui i bambini nati morti, e quindi non battezzati, fossero eternamente destinati al Limbo. Il ruolo di questi santuari era quello di riportare in vita i bambini giusto per il tempo di un primo ed ultimo respiro, in modo da concedergli un nome.

Come ne La ragazza senza nome dei fratelli Dardenne, la mancanza di un nome è una condanna troppo crudele, significa accettare che la bambina non sia mai esistita. Il film di Laura Samani racconta quindi del viaggio che Agata compie per salvare la propria figlia, da creatura marina che abbandona la propria spiaggia e attraversa la terraferma, in un pellegrinaggio che attraversa le stagioni per far riunire due anime, dalla laguna friulana fino al lago ghiacciato del finale, ambienti sospesi essi stessi in un limbo, delineato dall’essenzialità del racconto e dall’attenzione prestata alla componente linguistica, che tramite i dialetti costituisce il viaggio e l’incontro tra i luoghi e le persone.

Al suo film di esordio, la regista dipinge dei quadri intrisi di malinconica naturalezza in cui la storia si muove tra il religioso e il pagano, in un mondo che si racconta silenziosamente tra i vari incontri che scandiscono il viaggio dell’eroina.

Muove da un certo tipo di cinema antropologico, su tutti quello di Ermanno Olmi, proiettandovi poi un vago senso di epica alla maniera di Werner Herzog: similmente alla storia di Orfeo ed Euridice, il risultato è un racconto fortemente favolistico, di una tenerezza che ha del macabro e proprio per questo straziante.

Piccolo corpo propone un’audacia nell’approccio al mezzo cinematografico mai scontata per un’opera prima, riconducibile, in riferimento ad esempi relativamente recenti nel panorama italiano, a Corpo celeste di Alice Rohrwacher. La forza di questo grande film passa dalla semplicità del racconto alla spontaneità con cui si affida alle immagini, trovando una potenza espressiva riconoscibile in pochi altri casi nel cinema nostrano (possiamo pensare a Michelangelo Frammartino o Pietro Marcello, come anche la già citata Alice Rohrwacher). Un piccolo miracolo che trasuda voglia di cinema.

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