
Chi tra noi non si è mai fermato a guardarsi allo specchio pensando di essere un divo del cinema? E chi di noi non ha mai provato ad essere “Bogart”?
Il titolo originale del film, “Play it again Sam” (1972), fa ovviamente riferimento alla celebre frase (anche se un po’ modificata) che ricorre varie volte in “Casablanca” del 1942 per la regia di Michael Curtiz. Tratto da un’omonimo spettacolo teatrale scritto da Woody Allen, vede come regista Herbert Ross, regista di “Footloose” (1984). Con questo film, Woody Allen diventa “Woody Allen” a tutti gli effetti.
La storia.
Stranamente, non siamo a New York. Ci troviamo bensì a San Francisco, dove il critico cinematografico Sam Felix (Woody Allen) viene mollato dalla moglie Nancy. Alla notizia, corre a casa sua una coppia di amici: sono Dick (Tony Roberts) e Linda (Diane Keaton). Questi, lo incitano ad andare avanti e incontrare altre donne. Durante questa avventura seguita dai suoi amici, verrà in aiuto come “mentore”, niente meno che “Humphrey Bogart”!

L’icona senza tempo del cinema Hollywoodiano è l’idolo di Sam e si manifesta in carne ed ossa avvolto dalle ombre. E sarà lui a dargli consigli sulle donne, un personaggio sicuro di sé, carismatico, che ha sempre la situazione sotto controllo. Insomma… tutto l’opposto dell’ ipocondriaco, nevrotico e impacciato personaggio di Woody. Quando tutto sembrerà ad un punto morto per il povero Sam, lui e Linda scopriranno una loro attrazione e si sentiranno vicini come non mai.
Dietro la macchina da presa.
Non c’è niente da dire: la regia di Herbert Ross, passa in secondo piano quando la sceneggiatura è scritta da un “giovane” Woody Allen qualche anno dopo il suo debutto nel cinema. Se nei suoi film precedenti al ’72, si iniziava a percepire la penna caratteristica dello sceneggiatore, qui si assiste alla nascita di quello che sarà un’inconfondibile personaggio e un’inconfondibile storia e filosofia, che toccherà il suo apice con i film successivi di fine anni ’70 e ’80 e oltre. Fino a quel momento, se escludiamo il vero primo esperimento cinematografico del newyorkese (esperimento a tutti gli effetti, “Che fai, rubi?” del 1966), Woody Allen aveva diretto lo pseudo-documentario parodistico “Prendi i soldi e scappa” (1969), “Il dittatore dello stato libero di Bananas” e “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere)” dello stesso anno del film in questione.

Sam Felix, in lingua originale “Allan”, è un personaggio insicuro, impacciato. Si sente sempre fuori posto nella città moderna e in festa. Si rinchiude nevroticamente tra le medicine del suo appartamento e il suo psichiatra. E l’unico svago che ha, in quanto animale urbano “fuori posto” è quello del cinema e della realtà che quest’ultimo mostra illusoriamente sullo schermo. Tanto che il film, inizia con Sam in sala con i “famosi” occhiali, a bocca aperta, mentre un fascio di luce proietta gli ultimi minuti del film di Curtiz. Poi, se ne va un po’ stordito. Perché riaprire gli occhi e fare i conti con la realtà e con la propria persona non è semplice in fondo.

Esilarante in sceneggiatura, l’uso dell’apparizione di Bogart, che in fondo anche qui dà il via a un particolare tono dei dialoghi e delle dinamiche sceniche, di personaggi a metà tra la realtà e la fantasia a cui Woody Allen riuscirà a dar vita in modo sublime successivamente. Per non parlare poi, della a dir poco geniale ed iconica, la piega che prende il film alla fine, trasformandosi quasi interamente nel finale di “Casablanca”.

Se la solita vecchia storia romantica, di cuori pieni di passione, gelosia e odio ha un finale sempre dolce amaro, Diane Keaton fu scritturata come Linda nell’opera teatrale che vinse diversi riconoscimenti. Quindi, “Provaci ancora Sam” inaugura il prezioso sodalizio artistico e si immagina la relazione tra Woody Allen e quest’ultima, già dall’anno successivo con “Il dormiglione”.
In conclusione, una commedia che fa piangere dal ridere e che quasi, fa piangere e basta i più sentimentali e romantici tra di noi.