Recensione “Blonde”: nella mente di (Norma) Marilyn

trailer del film

Il 28 settembre è arrivato su Netflix Blonde, l’ultimo film di Andrew Dominik tratto dall’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates con Ana de Armas, Adrien Brody, Bobby Cannavale. Presentato in concorso alla 79esima edizione del Festival di Venezia, Blonde è il film più polarizzante dell’anno, conteso tra chi si è dichiarato profondamente disgustato e chi lo ha elogiato come miglior film del 2022. Una cosa è certa: guardare Blonde non può lasciare indifferenti. La decisione di schierarvi sulla sponda “capolavoro” o su quella “terribile” resta comunque a voi ma questa recensione può aiutarvi nel farlo.

La trama:

Blonde segue, romanzando, la storia di Norma Jean conosciuta da tutti come Marilyn Monroe. Dominik ci offre, per quasi 3 ore, un biopic allucinato della diva più famosa e iconica della Hollywood anni ’50, dagli esordi in “Eva contro Eva” fino “A qualcuno piace caldo”, dall’infanzia segnata dall’abbandono della madre ai matrimoni con Joe di Maggio (Cannavale) e Arthur Miller (Adrien Brody) fino ad entrare nella mente lacerata e umiliata della sua protagonista.

La recensione:

Se pensate che la bellezza di Blonde si esaurisce nella rappresentazione della vita di Marlyn Monroe avete probabilmente visto un altro film. Andrew Dominik è stato in grado di entrare all’interno della mente della diva restituendo a noi spettatori un’esperienza fatta di dualismi. Bianco e nero- colori, verità-bugie, 4:3-16:6, pubblico e privato ma soprattutto Norma Jeane/Marilyn Monroe. In questo continuo alternarsi di ombre e luci e cambi aspect ratio improvvisi al centro di tutto c’è Ana de Armas che ci regala una performance sincera e senza filtri di una donna tanto raggiante all’esterno quanto lacerata all’interno. L’approccio di Dominik non è quello del biopic canonico e lineare e questo appare chiaro fin dalle prime sequenze, il cineasta ha preso il romanzo della Oates come presupposto narrativo per decostruire dall’interno il genere biografico posizionandolo in una tenzone tra l’onirico e il reale. Il corpo di Marilyn diventa cosi l’epicentro del tracollo mentale di Norma che appare spettatrice esterna del suo alter-ego, in maniera sempre più irreversibile.

Immagina che accanto al tuo corpo reale, ci sia il corpo immaginario del tuo personaggio creato con il tuo pensiero

-Blonde

La regia:

La regia di Andrew Dominik è piuttosto lontana dalla sobrietà stilistica della Hollywood anni ’50, infatti la sua macchina da presa non è quasi mai celata. Zoom improvvisi, camera a mano, snorricam, grandangoli, slow motion, cambi di formato e bilancio cromatico. L’abbondanza di elementi espressivi aderisce in maniera convincente alla semantica del film, spingendo chi guarda ad empatizzare con la confusione di Norma. Il cineasta lavora molto sulla composizione del frame utilizzando spesso il montaggio connotativo con elementi diegetici (A) e l’uso di meravigliose sovrimpressioni (B)

Un femminismo premeditato?

Un’accusa che molta critica muove alla pellicola è quella di essere costruito in modo da orientare l’empatia in maniera premeditata verso tematiche femministe come libertà di aborto, parità di genere, abusi sessuali e di violenza domestica. Lo stesso Dominik ha affermato che tutti ciò è diretta conseguenza della necessità di restituire l’immagine storica di Marilyn: quella di corpo oggettificato che si è imposto nell’immaginario collettivo. Blonde elimina la patina aurea della sua protagonista mostrandola con un crudo realismo nelle situazioni più degradanti per una donna a Hollywood. In questo senso la pellicola di Dominik risveglia un senso di coscienza collettiva nei confronti delle angherie ancora presenti nella “fabbrica dei sogni” e non solo.

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