
È disponibile da venerdì 14 maggio su Netflix “la donna alla finestra”, il nuovo thriller di Joe Wright con Amy Adams, Gary Oldman, Julianne Moore ed Anthonie Mackie.
Per i frettolosi che non arriveranno alla fine dell’articolo parto subito col dire che “La donna alla finestra” è un film che non convince troppo, un thriller mediocre, poco (quasi per niente) originale. È l’equivalente cinematografico di un pranzo del martedì con il cibo avanzato e non riscaldato della domenica. Un omaggio al cinema del maestro Alfred Hitchcock non troppo riuscito e di cui non sentivamo il bisogno.
Partendo da queste premesse lapidarie, ora analizzerò punto per punto tutti gli aspetti più critici del film: il soggetto, la trama, la regia, il montaggio.
La trama:
Anne Fox (Amy Adams) è una psicologa infantile, la cui vita è ormai relegata all’interno delle mura domestiche. Da tempo soffre di Agorafobia, un disturbo che si intensifica in maniera progressiva con attacchi di panico e malori, sbalzi d’umore e instabilità fisica e mentale. È per questo motivo che vive avvolta nella penombra; gli unici spiragli di luce che infrangono le tenebre del suo appartamento e della sua esistenza sono: la compagnia del suo gatto e di un inquilino che abita nel suo seminterrato.
Il passatempo principale di Anne, oltre quello di vedere molti film di cui conosce ormai a memoria i dialoghi, è osservare la vita che si affaccia oltre il vetro della sua finestra. Spia i vicini e i loro movimenti, si informa online sulle loro carriere lavorative. Un giorno una nuova famiglia si trasferisce nel palazzo di fronte, si tratta dei Russell: Allistair (Gary Oldman), Jane (Julianne Moore) e il loro figlio adolescente Ethan.
Tuttavia la famiglia Russell sembra nascondere molte crepe oltre la facciata della loro casa. Anne se ne renderà conto e inizierà ad osservarli con maggiore attenzione, fino a giungere ad una inquietante verità.
Analisi del film:
Se avete notato, nel titolo dell’articolo ho inserito un elemento che non è presente nel titolo originale: “…sul cortile”. Già dalla trama è possibile notare grandi somiglianze con il capolavoro di Hitchock “La finestra sul cortile”, sostituite alla gamba rotta di James Stewart, l’agorafobia di Amy Adams e avete ottenuto il soggetto dell’ultimo film di Joe Wright.
“La donna alla finestra” è l’ennesimo film di questo periodo che cita al suo interno altre pellicole: “Lei mi parla ancora” di Pupi Avati citava il “Settimo sigillo”, Rifkin’s Festival di Woody Allen omaggiava i principali registi classici europei, c’è “Il promontorio della paura” in “Una donna promettente”. È paradossale ma in questo periodo vediamo film che ci fanno vedere film del passato, con questi ultimi che si rivelano sempre più belli della pellicola che stiamo vedendo. L’ultimo Wright è forse l’esempio più evidente di questo aspetto.
Le pellicole presenti nel film:
In questo film si citano grandi classici del Noir come “Laura” di Otto preminger, “Io ti salverò” di Hitchcock, “il grande sonno” di Howard Hawks e “La finestra sul cortile”. La maggior parte dei riferimenti ad altre pellicole è resa in modo diegetico, come visione filmica in casa della protagonista, Amy Adams infatti ha un sacco di DVD che le fanno compagnia. La visione dei film accompagna anche i suoi sogni, infatti ci vengono presentati attraverso un montaggio per dissolvenze poco prima che lei apra gli occhi.
“Laura” nel film di Joe Wright “Laura” di Otto preminger
Scena del film di Joe Wright “Io ti salverò” di Alfred Hitchcock
Il riferimento onnipresente nella pellicola è “La finestra sul cortile”, Wright lo cita esplicitamente quando Anne spia i vicini grazie alla macchina fotografica, attraverso le zoomate e i movimenti della MCP che simulano la soggettiva della macchina fotografica in cui guarda Amy Adams.
Amy Adams ne “la donna alla finestra” James Stewart ne “la finestra sul cortile”
In qualche modo Wright cerca di riprendere il capolavoro di Hitchcock, rileggendolo con un occhio moderno e più personale. Jeff, il protagonista della pellicola hitchockiana era un fotoreporter: il suo è il ruolo di osservatore per eccellenza, colui che sfrutta lo sguardo per documentare oggettivamente la realtà. La sua immobilità (che costituisce il Macguffin) è data da una condizione fisica: sul lavoro si è rotto una gamba. Ne “la donna alla finestra”, ritorna la stessa situazione iniziale ma traslata a livello interiore, poiché il malessere che colpisce Anne, non è fisico, ma psichico. Anne a differenza di Jeff, è una psicologa che osserva i comportamenti e ne cerca le radici all’interno.
La regia di Wright è l’elemento più ispirato dell’intera pellicola ma non basta a sollevarla da una costruzione completamente sbagliata. Tensione e suspence sono gli elementi cardine che rendono un Thriller tale ma Wright sembra voler puntare (non riuscendoci minimamente) più sul mistero.
Quando Truffaut intervistò Hitchock, chiese una sorta di definizione di “suspense” al regista che rispose cosi:
Il mistero è quando lo spettatore sa meno dei personaggi del film
la suspense è quando lo spettatore sa più dei personaggi del film
-Alfred Hitchcock
Ne “la donna alla finestra” non siamo davanti a nessuno dei due casi, noi spettatori sappiamo quanto il personaggio: le nostre scoperte viaggiano di pari passo con le rivelazioni che subisce Anne. Il problema qual è? Che nel momento in cui ci viene palesata la verità alla quale la pellicola voleva giungere, noi spettatori non rimaniamo minimamente stupiti.
Come dicevo qualche riga più su, ad una sceneggiatura piatta e molto lontana dall’essere originale risponde una regia virtuosa (anche troppo). Wright utilizza molto le inquadrature sghembe che riflettono lo stato alterato della protagonista per via del costante mix di alcol e psicofarmaci, utilizza i dolly negli interni, le panoramiche a schiaffo e quelle normali. Ci sono molte sequenze oniriche che utilizzano la swing camera. Se ne “la finestra sul cortile” Hitchcock impiegava uno stile estremamente sobrio, messo a sostegno della narrazione, Wright si colloca in un punto diametralmente opposto. La sua è una regia tutt’altro che invisibile, costituita da dolly, zoomate lente nelle oggettive, e zoomate veloci nelle soggettive, inquadrature a piombo “sottosopra” con rotazioni sull’asse ottico. Questi virtuosismi sono sì eccessivi in alcuni punti, ma ci fanno percepire lo stato mentale di Amy Adams, in questo senso siamo vicini a lei sia emotivamente, sia in quanto spettatori.
inquadratura stabile inquadratura sghemba
La caratterizzazione di tutti i personaggi che appaiono nella pellicola è veramente nulla, Wright non è riuscito né con i dialoghi né con la regia ad approfondire lo stato psicologico di Amy Adams. Tutti i personaggi che fanno da contorno alla narrazione sono derivativi e intrisi di cliché: abbiamo il ragazzo problematico in balìa dell’adolescenza, la madre sottomessa, il padre violento e l’inquilino che fa il musicista. Sono talmente scritti male che anche quando muoiono non arriviamo ad empatizzare con loro.
Il finale stona completamente con la regia di Wright, che non da il meglio di se nelle scene d’azione, le quali risultano caratterizzate da un eccessivo montaggio e con inserti completamente inutili che non hanno senso di esistere poiché creano buchi nella sceneggiatura non indifferenti.
In conclusione possiamo affermare che “la donna alla finestra” aveva delle ottime premesse: un regista conosciuto e apprezzato, un cast invidiabile sfruttato malissimo(Gary Oldman in primis), un comparto tecnico di tutto rispetto. Eppure il risultato finale è quello di un film che non soddisfa per niente tutte le premesse che mostra: colpi di scena prevedibili, sviluppo della trama non originale, assenza di plot-twist memorabili. Tutto questo fa crollare il film, dalle cui macerie si può salvare la buona regia di Wright che ne esce comunque amputata da alcune sequenze (quelle di lotta finali in primis).

Studente di scienze della comunicazione dei media e cinema, appassionato di arte in tutte le sue forme specialmente la settima.