Recensione di Limbo: il thriller di Hong Kong vincitore del premio Mymovies al “Far east film festival”

Locandina del film

Presentato nella sezione “Berlinale special”, Limbo è un thriller hongkongese d’azione con sfumature noir. Elegante nella forma, quanto sporco e cattivo nel contenuto e nella storia che racconta. L’ultimo film di Soi Cheang è l’anticamera dell’inferno: un film che si pone come metafora di un luogo di attesa, verso la redenzione o la dannazione eterna.

Limbo è stato scelto dal pubblico come miglior film della sezione “Mymovies”, con una media di 4.24 stelle su 5 (io stesso l’ho votato con 5 stelle). La pellicola è stata premiata lo scorso 30 giugno a Udine per il Far east film festival con il gelso purple mulberry.

Trailer del film

La trama:

Un serial killer, la cui firma omicida è il lascito di mani recise per le vie di Hong Kong, commette una serie di omicidi. Sotto pressione, la polizia richiama in servizio il veterano detective Jin e gli assegna il caso da risolvere in coppia con il novellino Kai ( Mason Lee, il figlio del regista Ang Lee). Tuttavia, il passato di Jin torna a tormentarlo quando incontra Tao, la ragazza che gli ha ucciso moglie e figlio in un incidente. Per riscattarsi, Tao si offre volontaria per lavorare sul caso ma Jin non riesce a controllare l’odio che nutre verso colei che gli ha distrutto per sempre la vita.

L’analisi:

Girato interamente in un bianco e nero volutamente sporco, Limbo pone sul grande schermo una storia non originale come soggetto, ma indelebile come messa in scena e sceneggiatura. La trama è un congegno precisissimo. L’azione travolge e sconvolge a più riprese. I drammi strazianti. Soi Cheang mostra la città di Limbo a più livelli, prediligendo il suolo e il sottosuolo in contrasto con la parte alta della città, moderna e silenziosa.

I bassifondi della città sono una cloaca di rifiuti e marciume, un ecosistema naturale per topi, randagi, prostitute, nonché lo scenario d’azione del nostro serial killer che tortura e uccide solo donne, dopo averle stuprate e avergli amputato in maniera rozza una mano.

I due detective saranno costretti lungo tutto l’arco della narrazione a scavare tra i rifiuti concreti della città e i liquami nauseabondi astratti del loro passato. L’atto dello scavare diventa così l’azione che porterà i protagonisti all’ingresso del loro limbo personale. Soi Cheang riesce come pochi altri registi a porre lo spettatore in maniera sinestetica davanti alle immagini: quando la macchina da presa mostra i rifiuti, pur non percependo concretamente l’odore riusciamo a fiutare e avvertire quello che provano i due detective, è come se le immagini fossero percepite non solo con gli occhi ma anche dal naso e dalla bocca.

Una visione cupa dell’uomo:

Il contesto dentro il quale si muovono i personaggi di Limbo, non ha una collocazione geografica e temporale precisa, assume una dimensione quasi onirica anche attraverso il comparto fotografico che riflette l’interiorità dei protagonisti della pellicola. L’uomo diventa un rifiuto umano ogni volta che cede al rancore, alla rabbia e alla violenza (nel caso del poliziotto Lam), il perdono diventa cosi non solo il Macguffin che porta avanti la trama, ma anche un’esigenza, un’urgenza. Liu Cya che interpreta il personaggio di Tao, è disposta a umiliarsi e a mortificarsi pur di redimersi per aver ucciso la famiglia del detective Lam.

Uno degli aspetti che più mi affascinano del cinema orientale è la scrittura dei personaggi: il confine tra buoni e cattivi nel cinema asiatico non è mai nitidamente demarcato, complice anche la convinzione culturale che il bene e il male non siano in un rapporto dicotomico ma in una coesione (pensate allo yin e allo yang). Il serial Killer è mosso da irrazionalità e follia omicida, tuttavia il regista mostra anche il suo lato “umano”, i due detective che rappresentano il “Bene” hanno dei metodi che non si discostano troppo dal modus operandi del Killer. Così, proprio come la figura dello “Yin” e dello “Yang” che ha luce-tenebre, bianco-nero, i protagonisti di Limbo non sono mai completamente buoni o cattivi e le loro azioni riflettono benissimo questa tensione interna.

La regia:

In Limbo, Soi Cheang raccoglie ancora una volta l’eredità di coloro che hanno fatto grande il cinema di Hong Kong, da John Woo a Johnnie To, riportando il thriller cantonese lì dove dovrebbe stare, a fare quel che dovrebbe fare: mescolando action e mélo, tingendo di nero il mondo senza lasciar quasi uno spiraglio di luce per sperare, un filo d’aria per respirare, spostando in avanti i confini dei noir contemporaneo e regalando un’esperienza cinematografica difficilmente dimenticabile. Ci sono alcune sequenze che hanno una costruzione di Terrore-Orrore incredibile, tutti i personaggi sono sempre sull’orlo del disastro e la macchina da presa con i suoi movimenti bruschi e sinuosi si pone come personaggio silenzioso che non giudica gli eventi, ce li narra con obiettività e crudeltà, Soi Cheang è come se volesse farci una cura ludovico ,di kubrickiana memoria, senza forzarci a tenere gli occhi aperti: quello che mostra è sì terribile (come la scena dello stupro), ma la potenza della messa in scena è talmente elevata da creare in noi spettatori un senso di disagio e quasi colpa, perchè guardiamo inermi senza poter fare nulla.

Le conclusioni:

Non è tramite questa recensione che scoprirete se in LIMBO, i personaggi si redimeranno o meno, non appena uscirà al cinema fatevi questo regalo e andate a scoprire una delle pellicole più crudeli e belle degli ultimi anni. consapevoli che quello che vedrete vi porrà in una condizione scomoda e difficile, la visione della pellicola infatti non è leggera. All’inizio della recensione ho scritto che limbo è la porta per l’anticamera dell’inferno, quindi cosa aspettarsi da una pellicola del genere se non urla, sangue e stridore di denti?

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