
Un altro tassello si è appena aggiunto alla filmografia di Sean Baker, un altro film importante, un’altra pellicola su una fetta di America dimenticata: Red Rocket.
Sean Baker, ormai al suo settimo lungometraggio, ha realizzato un film spontaneo e diretto, all’interno del quale si muovono un sacco di personaggi totalmente anestetizzati da una quotidianità che non permette alcun tipo di redenzione. Ecco la nostra recensione.
La trama
Mikey Saber (Simon Rex) è un quarantenne spiantato che ha fatto la sua fortuna a Los Angeles come suitcase pimp. Una volta abbandonato il mondo del porno a Mikey non resta che tornare in Texas, nella sua città natale, dove nessuno sembra gradire il suo ritorno. Senza soldi, senza lavoro, il nostro “eroe” è quindi costretto a tornare a vivere con la ex moglie e la suocera con l’intento di volersi riassestare, ma la nuova vita di Mikey sembra essere solo una brutta copia sbiadita di quella che era, finché un giorno non si imbatte in Strawberry (Suzanna Son), una commessa diciasettenne in un negozio di donuts, poco distante.
La recensione
Girato in pellicola 16 mm, Red Rocket riconferma Sean Baker come uno dei più interessanti registi americani, un cineasta che sa benissimo come fotografare un mondo sbiadito con colori sgargianti. Red Rocket continua e aggiorna il discorso di Baker sull’ambiente sottoproletario americano, giocando con le geometrie che fanno da perimetro ad un mondo con le proprie regole, logiche ed equilibri.

Mikey Saber diventa quindi il nuovo baricentro bakeriano, l’ennesimo personaggio che rappresenta il tracollo e collasso del sogno americano su se stesso. La macchina da presa non lascia scampo al personaggio di Simon Rex, è sempre vicina, quasi a voler rappresentare l’empatia che il regista ha nei confronti di Mikey, un uomo che non riesce ad accettare il (dis)gusto di una vita miserabile e abbandonato anche dalla sua Nazione, che inserisce la felicità come condizione innata di ogni uomo nella costituzione.
In tutto questo marasma, il regista però sembra voler suggerire al suo protagonista che esiste un antidoto ,la felicità di Mickey potrebbe risiedere nella commessa del negozio di Donut. Strawberry sembra quindi lei stessa allegoria del sogno americano: ha diciassette anni, le labbra rosse, le lentiggini e rappresenta per Mickey quella che è una potenziale rivalsa e fuga dal Texas. Riuscirà il nostro Mickey a fuggire e tornare a Los Angeles?

Lo stile di Sean Baker
Case colorate, di facciata, negozi sfavillanti fanno da primo piano in alcuni frame ad un background urbano fatiscente, al limite del degrado, fatto di fabbriche fumose. Anche a livello scenografico Sean Baker riflette ulteriormente sulle ipocrisie e contraddizioni interne dell’American Way of Life.


In questo senso Baker consolida la sua estetica personale fatta di panoramiche in cui coesistono luci e ombre in tutti i sensi, con colori iper saturati che virano talvolta verso il fluo che conferiscono al frame un alone di magia, ulteriore conferma di quello che scrivevo qualche riga più su: Baker sa come fotografare un mondo sbiadito con colori sgargianti.
Conclusioni
Red Rocket è un altro attentato su pellicola, da parte di Sean Baker, al sogno americano con toni unici e personali. Il cinema Indie statunitense è tornato ad essere affresco lucido e spaventoso di una realtà che sappiamo esistere ma facciamo finta di non vedere e questo è anche merito di Red Rocket, che può essere assunto come un manifesto di una generazione americana (e non) che si consuma esattamente come le canne del suo protagonista: avvolta dalla bandiera degli stati uniti.


Studente di scienze della comunicazione dei media e cinema, appassionato di arte in tutte le sue forme specialmente la settima.