Summer Wars: due mondi a confronto

Quando si parla di animazione giapponese, è inevitabile e istintivo pensare al nome di Hayao Myiazaki. Quanto ha creato, insieme ad altre personalità importanti dello Studio Ghibli, su tutti Isao Takahata, è imponente e continua a segnare nuove generazioni con la propria poetica. Non sono da dimenticare però altri autori di spessore nel panorama del cinema d’animazione orientale, come possono essere Hideaki Anno (autore della serie di culto Neon Genesis: Evangelion), Yoshiaki Kawajiri (Wicked City, Ninja Scroll, Vampire Hunter D: bloodlust), Mamoru Oshi (Ghost in the shell, Jin Roh), Katsuhiro Otomo (Akira, Steamboy) e il compianto Satoshi Kon (Perfect Blue, Millennium Actress, Tokyo Godfathers, Paprika,).

Tra quelli che si sono affermati in tempi più recenti, troviamo comunque delle figure molto stimolanti, come Masaaki Yuasa, Takeshi Hoike e Mamoru Hosoda.

Rivolgendo in particolare l’attenzione a quest’ultimo, non molto tempo fa, è stato diffuso un primo teaser-trailer del suo nuovo lungometraggio Belle, di prossima distribuzione nei cinema Giapponesi. È quindi ora più che mai interessante riscoprire questo autore, le sue opere e la filosofia che in esse si è delineata, e non vi è modo migliore se non approcciandosi a quello che si può considerare a tutti gli effetti il suo capolavoro, dal momento che è comprensivo delle tematiche ormai distintive di Hosoda: Summer Wars.

La carriera di Mamoru Hosoda è scandita dalle collaborazioni con degli importanti studi di animazione, quali la Toei Animation, realizzando, su tutto, i primi due film dei Digimon, e il Ghibli, presso il quale ha vissuto un’esperienza tanto sofferta quanto breve (inizialmente doveva essere lui a dirigere Il castello errante di Howl, prima che Myiazaki gli subentrasse a causa, presumibilmente, di divergenze con lo studio relativamente alla direzione da intraprendere). Tuttavia, ancor più significativo si è rivelato il suo approdo alla Mad House, per la quale continua a realizzare i propri lavori.

Se infatti è vero che con il primo film dedicato ai Digimon (Digimon Adventure, distribuito in Italia sotto il titolo di Digimon: il film) ha avuto carta bianca, dovendo lui stesso dare un punto di partenza all’espansione anime del noto franchise, nelle sue prove successive ha dovuto attenersi ai limiti imposti dall’identità ormai acquisita dei titoli su cui ha avuto l’opportunità di lavorare: si ricorda in tal senso Digimon Adventure: our war game! e One Piece: l’isola segreta del barone Omatsuri, entrambi film dedicati a franchise molto noti e con delle linee editoriali da rispettare, ma comunque segnati da elementi e tematiche che rendono la firma di Hosoda ben riconoscibile.

Oltre che per la garanzia di una maggiore libertà creativa, il sodalizio con la Mad House ha avuto un forte peso nella carriera del regista per aver favorito la collaborazione con Satoko Okudera, la quale avrebbe curato le sceneggiature de La ragazza che saltava nel tempo, Summer Wars e Wolf Children.

Quindi nel 2009, dopo aver sperimentato e proposto in più occasioni le tematiche a lui care, accompagnato stavolta dalla talentuosa sceneggiatrice, Hosoda è pronto a firmare il suo capolavoro, nel quale ha finalmente occasione di esprimere appieno la propria poetica.

La trama di Summer Wars gira attorno ad un ragazzo liceale recatosi in campagna in visita alla famiglia di una compagna di scuola. Mentre assistiamo al frenetico incontro tra diverse generazioni, viene scagliato un attacco digitale al mondo del web, imponendo al protagonista e all’intera famiglia di contrastarlo, facendo affidamento l’uno sull’altro, in modo da impedire che il mondo reale sprofondi nel caos.

Questa seconda collaborazione con la Okudera vive evidentemente delle suggestioni sperimentate nove anni prima in Digimon Adventure: our war game!, riuscendo a proporne un’elaborazione più completa, grazie, ovviamente, a dei tempi più maturi: se nel 2000 Hosoda aveva immaginato – ed anticipato – la forma che avrebbe assunto la vita con l’avvento di internet, nel 2009 il Giappone, nonché il mondo intero, si era ormai digitalizzato, e il regista non tardò a comprendere la naturale evoluzione delle dinamiche del web e l’importanza che questo nuovo strumento stava assumendo nella vita delle persone.

Non adotta una prospettiva allarmista o conservatrice, e ritrae piuttosto un mondo quasi incantato nell’estetica in cui si presenta, fortemente influenzata dallo stile postmodernista dell’artista Takashi Murakami, definitosi successivamente come stile Superflat, caratterizzato da superfici dai colori brillanti in cui sono richiamati elementi della sottocultura otaku. Si tratta però di un mondo tanto reale quanto quello in cui viviamo, come viene suggerito dalla continua alternanza con scene di semplice quotidianità familiare e dalla scelta di un’ambientazione rurale come sfondo dell’intera vicenda: la vita delle persone si è spostata in buona parte proprio sul web, con la conseguenza che anche in esso ogni azione ha un peso, e l’equilibrio di un mondo rimane saldo fintanto che l’altro si comporta ugualmente.

Altrettanto importanti sono i temi della crescita e della famiglia, che assumeranno ulteriore esposizione nella fase successiva della filmografia di Mamoru Hosoda, in titoli come The boy and the beast e Mirai: i protagonisti scritti da Hosoda sono adolescenti o bambini, costantemente messi alla prova da un percorso di crescita personale, una continua sfida scandita da dubbi e incertezze che li rende le persone più predisposte ad affrontare eventi fuori dalla portata di chiunque – proprio come lo è la crescita stessa.

Nel mentre viene raccontato, con toni vagamente nostalgici, il disorientamento suscitato dall’incontro con una famiglia complessa e bizzarra, parallelamente al senso di curiosità nel relazionarsi ad un simile campionario delle più svariate personalità, spesso in contrasto l’una con l’altra, ma che concorrono sempre a garantire un equilibrio che consenta e stimoli l’espressione della propria identità.

Summer Wars è divertente, spensierato, malinconico e non smette mai di sorprendere, in un’incessante corsa contro il tempo per scongiurare la catastrofe fino ad un finale esaltante. È ormai indiscutibilmente un classico dell’animazione giapponese, nonché il lavoro migliore firmato da Hosoda – eguagliato probabilmente solo da Wolf Children – con il quale si è affermato come uno degli autori più interessanti della sua generazione, assicurandosi di essere ancora celebrato in futuro.

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