
Quante volte vi è capitato negli ultimi anni di dire “Fanno sempre gli stessi film. Cos’è, hanno finito le idee?”. L’ultimo decennio è stato caratterizzato dai franchise, dagli universi condivisi e dai sequel (e per tutto questo c’è da ringraziare in grande parte i Marvel Studios). Tuttavia sarebbe sbagliato anche fare di tutta l’erba un fascio e in mezzo a decine di blockbuster non è difficile trovare gemme indipendenti. Basti pensare al successo recente di Everything Everywhere All At Once, un’opera originale di uno studio, A24, in ascesa e slegato dai grandi studios hollywoodiani. Anche dal punto di vista seriale la storia sembra quella, con l’avvento di tantissimi servizi di streaming e la conseguente creazione di dozzine di prodotti, spesso di scarsa qualità, seguendo le cosiddette regole dell’algoritmo. Per rendervi conto di ciò, basta passare cinque minuti sulla home di Netflix. Anche qui, però, assistiamo ogni tanto a delle serie diverse dalle altre. Basti pensare a The Bear, che lo scorso anno ha stupito tutti con un umorismo e uno stile unici. Tornando al problema di partenza, è giusto chiedersi: sono finite le idee? È davvero così facile arenarsi su un sequel, piuttosto che sforzarsi di partire da zero?
Cinema e videogiochi: storia di un rapporto
In nostro soccorso arriva una delle fonti di idee più estese della storia della creatività contemporanea: i videogiochi. Snobbati da tutti ed eternamente considerati un passatempo stupido per bambini scemi, quella dei videogames è una delle industrie maggiori al mondo, con profitti che superano (e di parecchio) quelle del cinema. Negli ultimi anni anche i meno esperti stanno capendo l’entità di questo fenomeno, che si sta diffondendo a macchia d’olio in tantissime parti della società. Dagli esports alle fiere, passando all’adattamento cinematografico di alcuni dei videogiochi più famosi di sempre. Ecco però che ritorna lo stigma. Nella maggior parte dei casi, infatti, questi adattamenti si sono rivelati dei prodotti mediocri. Se andiamo indietro a una ventina di anni fa troviamo ad esempio il film di Tomb Raider con Angelina Jolie, per poi proseguire con Prince of Persia e più recentemente Assassin’s Creed. Non ve lo sto neanche a dire: se non li avete visti, non vi siete persi niente. Mi sono limitato a citare alcuni dei più famosi, ma la lista sarebbe lunghissima: Monster Hunter, Hitman, FarCry… In mezzo a questo scempio troviamo la semi-riuscita saga di Resident Evil con Mila Jovovich, che è andata in malora solo con gli ultimi episodi.
Cos’è cambiato?
Negli ultimi anni sono emersi dalle ceneri diversi prodotti che hanno fatto ricredere i più sulle potenzialità di questo medium e di come esso possa avere un rapporto sano col cinema e la tv. Un esempio su tutti è Arcane, la fortunata serie animata tratta da League of Legends uscita su Netflix. Ma non solo, basti pensare ai due film di Sonic, al film di Super Mario prossimo all’uscita (che punta a far dimenticare il primo tentativo di adattamento del franchise negli anni ’90). Proprio qui si colloca The Last Of Us, per molti IL videogioco dello scorso decennio, che ha fatto parlare in lungo e in largo di sé, con i fan che hanno chiesto un sequel finché non lo hanno ottenuto e sono stati premiati da opere correlate e, finalmente, una serie tv. The Last of Us è diventato in brevissimo tempo un instant classic di HBO, superando il successo (in termini di ascolti) di House of the Dragon e adocchiando già la stagione di premi che inizierà il prossimo autunno.
I motivi del successo di The Last of Us
HBO ha deciso di affidare la creazione della serie a due figure: la prima è Neil Druckmann, creatore della serie, coinvolto per garantire un certo tipo di fedeltà col prodotto originale; la seconda è Craig Mazin. Per chi non conoscesse quest’ultimo, è uno degli sceneggiatori di Chernobyl, una delle miniserie migliori di sempre, realizzata sempre da HBO. Già solo da queste scelte capiamo quanto si sia puntato su questo prodotto. Il risultato è una serie solida, con dei protagonisti convincenti (il duo Pedro Pascal-Bella Ramsey è già iconico), una storia piena di azione ma allo stesso tempo toccante, che ha saputo dedicare spazio al world-building (vedi le aperture degli episodi 1 e 2) e alla vita che si consuma al di fuori di quella dei protagonisti, regalandoci momenti di altissima televisione (l’episodio 3 ci ha regalato una delle migliori ore di televisione dell’anno). Dopo il debutto la serie è già stata rinnovata per una seconda stagione e nei giorni scorsi Neil Druckmann parlava già di più stagioni necessarie per adattare The Last Of Us II. C’è poco da dire, HBO ci ha preso ancora.

The Last of Us è solo il primo passo
The Last of Us però può essere ancora più grande, ma non dipenderà solo da se stessa: se nei prossimi anni altri studios decideranno di puntare sui videogiochi come fonte principale delle loro prossime storie, allora questa serie avrà veramente fatto qualcosa di importante. Lancio così una provocazione: e se i videogiochi, sotto questo aspetto, fossero i nuovi libri o fumetti? Mentre a molti potranno venire i brividi di fronte a questa suggestione, per gli appassionati può significare una ventata d’aria fresca e la coronazione per quello che qualche riga più su ho definito ‘un passatempo stupido per bambini scemi’. A me, amante del cinema e delle serie e indifferente di fronte ai videogiochi, tutto ciò non può che portare giovamento: le grandi storie sono sempre ben accette, qualunque siano le loro fonti.

Studente del corso magistrale di Informazione, Culture e Organizzazione dei Media presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Appassionato di cinema, serie tv e di tutto il mondo dell’audiovisivo.
Se nel 2023 c’è ancora chi fa di tutta l’erba un fascio e considera ancora i videogiochi,in generale,un passatempo scemo per bambini scemi,il problema è solo il suo.
Ci sono moltissimi videogiochi con bellissime storie,e la difficoltà nell’adattamento,spesso dovuta più che altro alla forti differenze presenti tra un mezzo interattivo e uno completamente passivo,non cambia il fatto che non esiste nulla che un buon regista/sceneggiatore non possa fare,e che sarebbe ora di finirla di addossare alla presunta “immaturità”del videogioco la colpa di tanti,troppi fiaschi nell’adattamento.
Che poi, videogiochi snobbati da tutti,ma tutti chi?che ormai tutti giocano almeno una volta ogni tanto
Ciao Andrea, grazie per il tuo commento! Ecco cosa cercavo di dire col mio articolo: i videogiochi stanno superando lo stigma che li ha contraddistinti per decenni, grazie alla qualità che ora li caratterizza!
Aggiungo che,visto la piega che ha preso il cinema specialmente nell’ultimo decennio,il passatempo stupido per bambini scemi, ultimamente,sembra una definizione molto più calzante questo che non per altri medium