UBRIACO D’AMORE: LA BIZZARRA E SFOCATA ORCHESTRA DELL’AMORE

Qual è la storia più imprevedibile e a tratti confusa di tutte? L’amore. Paul Thomas Anderson nel 2002 decise di scrivere e di dirigere questa dolcissima pellicola che gli portò il premio per “Miglior regia” a Cannes.

La storia.

Adam Sandler è Barry Egan, giovane imprenditore di una piccolissima azienda che vende sturalavandini. É una persona all’apparenza molto calma e vuota. É il fratello di sette sorelle che lo stressano ogni giorno e lo spronano ad uscire dalla prigione sociale che si crea da solo. E anche le cose più piccole e semplici, lo mandano in tilt e gli provocano violenti scatti d’ira o istantanei fiumi di lacrime senza un motivo, nonostante la sua tranquillità e la sua gentilezza.

La scena di apertura del film, lo introduce durante una telefonata, in quello che dovrebbe essere il suo “ufficio”. In un angolo di quello che sembra essere un magazzino vuoto, davanti ad una scrivania con diverse pile di fogli e un telefono bianco. La conversazione è pacata e Barry tenta di far notare ad un impiegato di un’altra azienda un errore di una loro operazione di marketing di prodotti alimentari con come premi, miglia aeree. L’ambiente e la scena sono sterili, i colori predominanti sono il blu e il grigio. Il blu di metà della parete alle sue spalle si fonde con il suo completo, che indosserà per tutto il film. Sembra che lui stesso faccia parte della stanza.

Quando finisce la telefonata Barry tira su una saracinesca ed esce fuori con il suo thermos di caffè. É l’alba. Due auto si stanno avvicinando e nel silenzio mattutino, improvvisamente una di queste si ribalta andando i mille pezzi. Un furgone inchioda e aprendo lo sportello laterale, quattro braccia lasciano un pianoforte sul ciglio della strada davanti a lui. Il furgone riparte. L’uso del suono prorompente dell’auto che si ribalta è usato con maestria per stabilire il ritmo del film e la mente del protagonista.

Circa un’ora dopo il sole si è alzato. Ed è qui che Barry fa conoscenza con Lena, interpretata da Emily Watson. Lei è lì, travolta da un’onda di luce abbagliante, per lasciare l’auto dal meccanico che ancora deve aprire. Dopo l’incontro Barry porterà dentro con sé il pianoforte, con un po’ di paura e curiositá. Infatti non sa cosa sia esattamente o da dove sia spuntato fuori. Il film narrerà tra le diverse trame intrecciate, tipiche dello sceneggiatore, l’innamoramento di Barry con Lena (fin dal principio innamorata di lui) e la battaglia con le sue paure e i suoi complessi.

Dietro la macchina da presa.

Anderson, come è solito fare, non si preoccupa di stare dietro a troppi paradigmi nella scrittura. E se li segue, li sa sempre stravolgere e rendere propri. Non ha paura che il film a tratti possa restare fermo perché sa, che la forza e la potenza delle sue storie risiede nei suoi personaggi. Nelle loro più grandi caratteristiche e nei loro piccoli complessi o momenti. Grazie alle musiche di Jon Brion, il film ha l’aria di una bizzarra orchestra nella mente del protagonista. Infatti potremmo dire che Barry tenta di accordarsi, di creare una sua armonia nel suo caos. E la troverà grazie ad una piccola nota, ad una piccola macchia.

Dunque, la bellezza di “Ubriaco d’amore”, risiede nel perfetto unisono delle arti coinvolte nel cinema. Narrative, visive, recitative, musicali.

La solitudine, l’ossessione e l’attesa di una svolta nella vita accomuna ogni sotto trama del film. Forte l’impatto che ha la fotografia di Robert Elswit. Luci abbaglianti, flares, silhouette, diventano un tutt’uno con la macchina da presa che anche nelle scene frenetiche, sembra sempre muoversi con calma ed eleganza. Mantiene quella dolcezza eguale agli sfocati “dipinti digitali” all’interno del film, di Jeremy Blake. Non sono altro che una innovativa trovata ed un perfetto uso delle tante possibilità del linguaggio cinematografico.

Infine, è un film sicuramente da scoprire o da rivedere più di una volta. Uno dei pochi ruoli più complessi dell’attore dal grandissimo potenziale mai stato troppo sfruttato (purtroppo), Adam Sandler.

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