Vortex: Gaspar Noè racconta Dario Argento

L’arredamento nei film di Gaspar Noé è un elemento chiave, vi si proietta e materializza il film stesso, insieme al passato che è confluito nella sua genesi: i poster e i libri ricoprono a scaglie le pareti degli appartamenti, diventando a tutti gli effetti la pelle squamosa del protagonista, il quale coincide solitamente con il regista. Nel caso di Vortex, tuttavia, tutto ciò non sembra riferirsi al protagonista-Noè, quanto piuttosto ad un protagonista nuovo, ovvero Dario Argento, al suo debutto nella recitazione (a meno che non si considerino gli efferati omicidi di cui si è macchiato le mani rigorosamente guantate dal 1970).

L’umanità è da sempre presente nel cinema di Gaspar Noé: dal dolore per un passato a cui non può più esser fatto ritorno di Irreversible, al rapporto tra fratello e sorella ritrovato e immediatamente perduto di Enter the Void, dall’amore distruttivo di Love, fino all’annichilimento romeriano della vitalità in Climax. Eppure stavolta non viene deformata dalla morbosità sia tematica che stilistica a cui il regista è tanto legato.

Segnali di stile e come superarli

È ovviamente riconoscibile nei suoi centotrentacinque minuti un percorso tematico familiare, relativo ad un dolore disperato e senza catarsi, quasi esistenziale e perpetuo, ed è indicativo come, a differenza di Amour di Michael Haneke, manchi completamente il senso della progressione della malattia: qui non ne vediamo il principio ma soltanto la fine, viene rappresentata come uno stato in cui la vita stagna prima di concludersi lentamente. La conseguenza è un costante split-screen, due schermate tanto vicine quanto separate, come lo sono i letti di Dario Argento e Françoise Lebrun, mentre la fotografia, all’inizio insolitamente fredda, torna ad accogliere progressivamente una colorazione acida, finché sul finale la malattia vola via dall’appartamento lasciandolo vuoto e tornando a spiegare le proprie ali sulla città.

È la pellicola che si allontana maggiormente dal canone stilistico espresso fino ad ora dal cineasta, raccontando una storia che non giochi sugli eccessi e le provocazioni. Non necessariamente l’opera più matura di Noé, per quanto operi un lavoro di sintesi per lui quasi inedito, ma sicuramente un’opera sentita e onesta, nella quale si fa da parte affidando il racconto a chi è venuto prima di lui.

Un film sui padri

Ancora in attesa di una distribuzione regolare e proiettato in anteprima nazionale al cinema Troisi di Roma, non a caso Vortex ha l’unica imperfezione di essere prolisso nelle sue ultime fasi: in più momenti sembra dover volgere alla chiusura, e la sensazione è dovuta al fatto che sul finale hanno una maggiore presenza dei ruoli marginali e fino ad allora soltanto abbozzati, e che quindi risultano poco più che delle parentesi aperte e chiuse per esprimere delle prospettive esterne. Perché Gaspar Noé stavolta è figlio, un figlio poco presente che si mantiene in disparte e che deve raccogliere l’eredità del padre.

Sempre nel 2022 esce Occhiali neri, ultimo film di Dario Argento (regista), in cui il maestro, ad un momento estremo della propria carriera, si rivela meno interessato all’orrore e alla violenza, abbozzati e alleggeriti di declinazioni particolarmente grottesche, preferendo osservare la fragile tenerezza della condizione umana in cui si muovono disorientati i due protagonisti: la sensazione è che Noé e Argento si siano incontrati in un momento insospettabilmente simile delle rispettive esperienze cinematografiche.

Perché, a conti fatti, Vortex è un film sui padri, in cui Dario Argento riflette sul cinema e sul suo cinema: si asserisce in momenti diversi della pellicola che il cinema è come un sogno e la vita è un sogno nel sogno, come nello sguardo di David Hemmings riflesso nella pozza di sangue durante i titoli di testa di Profondo Rosso. Vortex è un film tanto di Argento quanto di Noé e, oltre a ciò, è un film su Argento: stavolta Gaspar Noé è figlio e racconta il suo padre cinematografico, uno dei molti, lasciando che sia egli stesso a raccontarsi.

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